“Eravamo un gruppo mafioso. Essere mafiosi significava essere rispettati, da tutti, e poter fare ciò che si voleva senza opposizioni”. Con queste parole Matteo Pettinicchio, 40enne di Monte Sant’Angelo, ha raccontato per la prima volta in aula la sua lunga militanza nel clan Li Bergolis-Miucci-Lombardone. L’ex braccio destro di Enzo Miucci, soprannominato “U’ Criatur”, ha scelto di collaborare con la giustizia a febbraio scorso, mantenendo la promessa fatta alla madre morente di cambiare vita.
Il collaboratore ha deposto ieri per oltre due ore, in videocollegamento da una località segreta, nel processo “Omnia Nostra” in corso al Tribunale di Foggia contro 24 imputati accusati a vario titolo di mafia, tentato omicidio, droga, armi ed estorsioni.
L’ingresso nella mafia garganica e il sodalizio con Miucci
Pettinicchio ha ripercorso la sua storia criminale iniziata a soli 15 anni, nel 2000, tra le fila dei montanari. Racconta di essere stato un punto di riferimento del clan Li Bergolis anche durante gli anni di detenzione, continuando a mantenere i contatti con l’esterno attraverso lettere e telefoni cellulari clandestini fino all’applicazione del regime di 41 bis nell’ottobre 2024.
La sua collaborazione con Miucci si è consolidata a partire dal 2009, anno in cui il boss prese il comando dopo le pesanti condanne inflitte ai cugini Armando, Franco e Matteo Li Bergolis. Da quel momento, insieme, avrebbero gestito ogni fase della guerra contro il clan Romito ribattezzato nel frattempo clan Lombardi-Scirpoli-Raduano.
La guerra di mafia: “Partecipai a tutte le fasi”
Nella sua deposizione, Pettinicchio ha dichiarato di conoscere nel dettaglio tutte le dinamiche della guerra mafiosa esplosa nel 2009 tra il gruppo Li Bergolis e i rivali, descrivendo alleanze, omicidi e attività criminali. “Partecipai a tutte le fasi di questo conflitto”, ha affermato, spiegando come il suo ruolo prevedesse anche il reperimento di informazioni sui nemici.
Secondo Pettinicchio, entrambi i gruppi – sia i Li Bergolis sia gli ex Romito – si dedicavano a traffici di droga, estorsioni, omicidi e usura. I primi erano alleati al clan Sinesi-Francavilla, i secondi al clan Moretti, entrambi della “Società Foggiana”.
I progetti di morte: “Gentile, Scirpoli, Lombardi e La Torre”
Il pentito ha raccontato di come il clan Li Bergolis avesse tentato più volte di eliminare Mario Luciano Romito, assassinato poi nella strage del 9 agosto 2017, e il fratello Franco, ucciso ad aprile 2009.
Ha attribuito al suo gruppo l’omicidio di Francesco Pio Gentile, cugino dei Romito, freddato a Mattinata il 21 marzo 2018: “Gentile si vantava dicendo che ci avrebbe ucciso, invece è stato ammazzato lui”. Secondo Pettinicchio, anche Francesco Scirpoli alias “Il lungo” era nel mirino: “Elementi come lui erano facili da eliminare, bastavano due giorni”.
Tra gli altri rivali di peso indicati, Pasquale Ricucci detto “Fic secc”, freddato sotto casa a Macchia l’11 novembre 2019, e i capi attuali del clan Lombardi: Matteo Lombardi alias “A’ Carpnese” e Pietro La Torre detto “U’ Muntaner” o “U’ figlie du poliziot”. Di Lombardi, Pettinicchio ha riferito che il suo clan intendeva ucciderlo prima ancora di Ricucci, mentre su La Torre ha detto: “Faceva troppo bordello, parlava di voler sparare a tutti, volevamo andarlo a prendere dentro casa”.
Prossime udienze
La deposizione di Pettinicchio proseguirà il 12 maggio. In quell’occasione potrebbero essere ascoltati anche i fratelli Enzo e Dino Miucci, più volte citati dal collaboratore come fonte delle sue conoscenze sui fatti di sangue che hanno insanguinato la provincia di Foggia negli ultimi vent’anni. Entrambi potranno però avvalersi della facoltà di non rispondere, essendo indagati in un procedimento collegato, l’inchiesta “Mari e Monti” contro il gruppo dei montanari di cui Pettinicchio faceva parte in posizione verticistica.