“Ho deciso di collaborare con la giustizia per esaudire il desiderio di mia madre. Non ho mai lavorato, facevo reati per vivere”. Ha esordito così il 40enne Matteo Pettinicchio, primo pentito del clan dei montanari Li Bergolis-Miucci, sentito oggi nella Corte d’Assise del Tribunale di Foggia nel processo “Omnia Nostra” all’organizzazione rivale Lombardi-Scirpoli-Raduano. I giudici hanno acquisito le dichiarazioni già rilasciate dal pentito al pm consentendo alcune domande a precisazione.
Pettinicchio ha ricordato i suoi trascorsi nella mafia garganica e gli anni di detenzione: “Dal 2017 ad oggi sono sempre stato detenuto, prima invece ho goduto di alcuni periodi di libertà che trascorrevo quasi sempre a Monte Sant’Angelo”.
Poi ha parlato del suo capo, il 42enne Enzo Miucci alias “U’ Criatur”, reggente del clan per conto dei capi storici Armando, Franco e Matteo Li Bergolis, tutti in carcere a scontare lunghe condanne, nipoti del boss defunto Ciccillo Li Bergolis.
“Quando ero detenuto a Lanciano, Miucci si trovava a Terni ma ci sentivamo sia telefonicamente che attraverso corrispondenza epistolare. In carcere avevamo più cellulari a disposizione. Miucci mi riferì che a Terni era detenuto anche Gibilisco (uno degli imputati di “Omnia Nostra”, ndr), un imprenditore del settore ittico che si era avvicinato a lui e gli aveva raccontato alcune cose. So che avrebbe messo a disposizione la sua azienda e che fu costretto ad assumere Mario Scarabino (altro imputato nel procedimento, ndr)”.
Secondo l’accusa, la ditta di Gibilisco, dove lavorava anche Antonio La Selva detto “Tarzan”, oggi collaboratore di giustizia, sarebbe servita al clan Lombardi per riciclare denaro e controllare il mondo della pesca.
Riferimenti anche al passato: “Franco Romito (ucciso nel 2009 durante la guerra con i montanari, ndr) aveva subito altri due attentati prima di essere ucciso. Fu ammazzato perché collaborava con le forze dell’ordine e per motivi di ‘fuori paese’. Mentre l’omicidio del padre di Silvestri fu opera del gruppo Li Bergolis-Romito dell’epoca”.
Infine, informazioni sull’agguato fallito al basista della “strage di San Marco in Lamis”, Giovanni Caterino, membro dei montanari, condannato in via definitiva per il quadruplice omicidio del 9 agosto 2017, giorno dell’uccisione di Mario Luciano Romito, Matteo De Palma e dei contadini Luciani: “L’attentato a Caterino nel 2018 fu fatto perché era sospettato della strage di San Marco”.
Gli imputati di “Omnia Nostra”
Alla sbarra ci sono tutti i capoccia dell’organizzazione criminale attiva a Manfredonia, Macchia, Mattinata e Vieste, compresi i boss Matteo Lombardi, 55 anni detto “A’ Carpnese” e Francesco Scirpoli, 42 anni detto “Il lungo”.
A Foggia è in corso il rito ordinario di “Omnia Nostra” a carico di oltre 20 persone, mentre altri imputati tra cui l’ex boss di Vieste, Marco Raduano alias “Pallone” sono già stati condannati in secondo grado col rito abbreviato. In attesa di giudizio, oltre a Lombardi e Scirpoli, spicca Pietro La Torre detto “U’ Muntaner” o “U’ figlie du poliziotti”, 42 anni, considerato dagli inquirenti uno dei membri apicali, compare del defunto Pasquale “Fic secc” Ricucci.
Completano la lista degli imputati Michele Bisceglia, Pasquale Bitondi, Luigi Bottalico detto “Pazziarill”, Alessandro Coccia, Leonardo D’Ercole, Michele D’Ercole, Emanuele Finaldi alias “Martufello”, Vittorio Gentile, Sebastiano Gibilisco, Raffaele Greco, Hechmi Hdiouech, Giuseppe Impagnatiello detto “Spaccatidd”, Pasquale Lebiu, Catello Lista detto “Lino”, Michele Lombardi detto “U’ Cumbarill” (figlio del boss Matteo), Umberto Mucciante, Massimo Perdonò, Bruno Renzulli, Mario Scarabino alias “lo zio”, Salvatore Talarico e Gaetano Vessio.