Dopo mesi di accuse e sospensioni, il prossimo 15 settembre potrebbe rappresentare un punto di svolta per gli agenti della polizia penitenziaria coinvolti nell’inchiesta sulle presunte torture nel carcere di Foggia. A sostenerlo è il SAPPE, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che all’indomani della richiesta di rinvio a giudizio esprime fiducia nel lavoro del GUP e auspica una piena possibilità di difesa per i poliziotti imputati.
“Accuse gravissime, ma serviva più cautela”
Fin dal giorno degli arresti avvenuti nel marzo 2024, il SAPPE aveva espresso fiducia nella magistratura affinché emergesse tutta la verità. Tuttavia, il sindacato denuncia come, nonostante la presunzione di innocenza sia uno dei cardini del nostro ordinamento, gli agenti siano stati trattati come delinquenti incalliti, con nomi e cognomi resi pubblici e sospensioni dal servizio. Una gestione che, a loro avviso, ha alimentato una gogna mediatica senza precedenti.
Il SAPPE sottolinea come, proprio in presenza di accuse tanto gravi, sarebbe stata auspicabile una maggiore cautela da parte degli inquirenti e dei media, per non compromettere la dignità e il futuro degli agenti coinvolti e delle loro famiglie.
Reato di tortura e rischi di condanne pesanti
Particolare preoccupazione è legata alla configurazione del reato di tortura, che prevede pene estremamente severe, in alcuni casi superiori a quelle previste per l’omicidio. Il sindacato evidenzia come il rischio di errori interpretativi sia elevato e ricorda che in casi analoghi, come quelli avvenuti a Tolmezzo e Trapani, le accuse più pesanti siano state derubricate una volta che le dinamiche dei fatti sono state meglio contestualizzate.
Secondo il SAPPE, le sole dichiarazioni dei detenuti e alcune immagini decontestualizzate non possono bastare a sostenere accuse di tale portata senza un contraddittorio rigoroso e approfondito.
Fiducia nel contraddittorio davanti al GUP
Il SAPPE ripone ora la massima fiducia nell’udienza del 15 settembre, durante la quale gli avvocati dei poliziotti potranno finalmente presentare le proprie controdeduzioni davanti al giudice dell’udienza preliminare. Sarà il primo vero momento in cui la difesa potrà intervenire nel merito delle accuse, cercando di ricostruire una verità che, secondo il sindacato, non può essere solo quella dell’accusa.
L’obiettivo è restituire ai poliziotti la possibilità di far valere il loro punto di vista dopo un anno e mezzo di provvedimenti cautelari e sospensioni.
Il precedente del caso Cucchi
A sostegno della propria posizione, il SAPPE richiama il drammatico precedente del caso Cucchi, in cui alcuni poliziotti penitenziari furono accusati pubblicamente e per anni additati al pubblico ludibrio, salvo poi essere assolti dai tribunali nelle varie fasi processuali. Nessuno, allora, si prese la responsabilità di chiedere scusa per i gravi danni subiti.
Un monito, questo, che il sindacato rilancia affinché non si ripetano errori che potrebbero compromettere per sempre la vita professionale e personale degli agenti coinvolti.