L’eco del potere criminale di Enzo Miucci, il boss montanaro reggente del clan Li Bergolis-Miucci, torna prepotentemente a riecheggiare tra le carte di una recente inchiesta e le nuove dichiarazioni di Matteo Pettinicchio, primo pentito della storia del clan dei montanari ed ex braccio destro dello stesso Miucci, alias “U’ Criatur”.
Nel cuore dell’indagine, un passaggio intercettato dagli inquirenti fotografa la forza carismatica esercitata dal boss sugli affiliati: “Come gli uccellini nel nido stiamo aspettando… noi stiamo nel nido”, diceva Gianmichele Ciuffreda in una conversazione riferita all’eventuale ritorno di Miucci dal carcere. Per i magistrati, un’espressione “evocativa e paradigmatica”, capace di svelare un legame dove rispetto, paura, ammirazione e devozione si fondono fino a diventare indistinguibili.
Il pentito Pettinicchio svela il volto del clan
Nei verbali delle sue recenti dichiarazioni, Pettinicchio ha tracciato un quadro feroce e dettagliato delle dinamiche interne e delle tensioni tra clan. Parla di droga, di minacce, di alleanze pericolose e di personaggi che, pur dichiarandosi esterni, sarebbero stati per anni pienamente coinvolti. Tra i nomi citati anche Pietro La Torre, definito “un chiacchierone”, e Francesco Gentile, detto “Passaguai”, ucciso nel 2019, legato al gruppo rivale Lombardi-Scirpoli-Raduano.
Descrive un contesto in cui l’intimidazione era regola, e le minacce – anche all’interno della stessa organizzazione – si consumavano tra lettere, piani di vendetta e strategie per neutralizzare figure scomode: “La Torre parlava sempre in questo modo, diceva che avrebbe tagliato la testa a chiunque. Aveva questa mania continua”.
“Come disse anche Miucci in una lettera: ‘Sapevano quello che dovevano dare, ma non sapevano quello che dovevano avere’. Lui faceva ciò che voleva, era il suo pensiero, e noi lo lasciavamo fare, altrimenti sarebbe stato eliminato già anni prima. Però era un chiacchierone. Anche il cognato si arrabbiava con lui perché diceva: ‘Tu così ci fai ammazzare tutti, perché se vengono, non ammazzano te, ma noi. Non partono da te, partono da noi! Stai zitto!’.
Come ha fatto Gentile, per dire, tante volte si vantava che ci doveva ammazzare. Lo diceva anche durante le feste, e io so bene i riferimenti perché sono state dette certe cose. Si vantavano sempre di volerci uccidere”.
Gli “uccellini”, i macchiaioli e le verità sul passato
Pettinicchio ricorda la fase in cui i “macchiaioli” D’Ercole, gruppo composto da personaggi legati ai Quitadamo, a Scirpoli e a Gentile, agivano come se fossero una sola cosa con il clan. “Mangiare e dormire insieme”, dividere l’erba trovata in spiaggia, frequentazioni assidue con Matteo Lombardi: elementi che, per il pentito, smentiscono ogni tentativo di dissociarsi dalle attività del passato.
Il caso Trotta e l’ombra dei sospetti
Secondo il collaboratore, Omar Trotta – assassinato a Vieste a luglio 2017 – faceva parte del gruppo di Monte Sant’Angelo. “Già solo per questo, bastava come motivo. Poi, forse, si sospettava che fosse coinvolto nell’omicidio di Vescera. Ma io non so se è vero”, ha raccontato Pettinicchio. Il delitto Trotta, avvenuto nella sua bruschetteria davanti a moglie e figlioletta, resta uno dei più emblematici dello scontro tra clan nel Gargano.
Bonsanto e il piano per l’eliminazione
Non mancano riferimenti ad altri nomi noti alle cronache giudiziarie. Uno su tutti, Angelo Bonsanto, ritenuto esecutore materiale dell’omicidio Trotta e oggi a processo. “In carcere lo guardavo sui cellulari, volevo vederlo bene, perché stavamo organizzando di farlo ammazzare”, ha detto Pettinicchio. Il piano sarebbe stato condiviso con contatti a San Severo: “Loro volevano occuparsene direttamente, senza scomodare noi. C’erano già persone che lo volevano far fuori, e col nostro assenso si sentivano più forti”.
Una criminalità che cambia forma, ma non sostanza
Dalle lettere ai messaggi intercettati, emerge una criminalità che continua ad alimentarsi di relazioni, paure e strategie trasversali. Dove anche chi tenta di restare in secondo piano ha avuto un passato dentro la macchina del clan, e dove i “compari” diventano all’improvviso nemici da colpire.
Il carisma di Enzo Miucci, ancora detenuto, sembra dunque sopravvivere fuori dalle mura del carcere. Come scrivono i magistrati, è un “potere invisibile” che continua ad agire, aspettato “come un uccellino nel nido”.