Estorsioni pianificate dal carcere, con intimidazioni e minacce di morte affidate a emissari esterni. È questo lo scenario inquietante emerso da un’articolata indagine della Guardia di Finanza coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, che ha portato all’arresto di cinque persone accusate di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Un sistema intimidatorio partito da un penitenziario
Secondo quanto ricostruito dal Gico del Nucleo Pef di Bari insieme alla Compagnia di Trani, l’azione criminale ruotava attorno a un detenuto già in carcere per associazione mafiosa ed estorsione aggravata, considerato affiliato a uno storico clan barese. L’uomo, attraverso l’uso illecito di uno smartphone all’interno della struttura penitenziaria, avrebbe continuato a esercitare pressioni su un imprenditore della zona, inviando ordini a quattro complici esterni per la riscossione delle somme.
Le minacce, raccolte dagli inquirenti grazie all’analisi di dispositivi mobili, pedinamenti e testimonianze, parlano chiaro: “Ti scanno come un maiale”, “Ti svito la testa”, “Ti distruggo tutta la vita tua”. Frasi inequivocabili utilizzate per terrorizzare la vittima e costringerla a pagare.
I nomi degli arrestati
In esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Bari, sono finiti in carcere: Alessandro Corda, Nicola Corda (zio e nipote), Rosa Fiore, Giuseppe Vitolano e Francesco Cirillo.
Tutti risultano avere precedenti e, secondo l’impianto accusatorio, avrebbero agito su mandato del detenuto, contribuendo alla messa in atto delle estorsioni con piena consapevolezza del contesto mafioso.
Un’indagine partita da un altro filone investigativo
L’inchiesta è nata dall’analisi di alcuni telefoni sequestrati in un’altra indagine. Le chat e i contenuti rilevati hanno rivelato le continue vessazioni subite dall’imprenditore, ricostruendo così l’intero meccanismo estorsivo. Il gip ha ritenuto fondato il quadro indiziario, disponendo la misura cautelare.
Il contrasto alle estorsioni mafiose
L’operazione è l’ennesima conferma dell’azione congiunta tra Guardia di Finanza e magistratura antimafia per contrastare una delle forme più odiose di criminalità: quella che colpisce in silenzio, sfruttando paura e isolamento. Le indagini proseguono e il procedimento resta nella fase preliminare: nessuno degli indagati è stato ancora rinviato a giudizio né condannato.