Due revolverate alla nuca, nell’androne del palazzo in cui abitava, sotto casa, alle 19:20 di un venerdì qualunque. Così, trent’anni fa, il 31 marzo 1995, veniva assassinato Francesco Marcone, 57 anni, direttore dell’ufficio del Registro di Foggia. Un omicidio eseguito con modalità mafiose, ancora senza un colpevole, rimasto impunito per tre decenni, ma mai dimenticato dalla città.
Un omicidio simbolo, rimasto avvolto nel mistero
Marcone era rientrato a casa, in via Figliolia, traversa di corso Roma. Aveva appena parcheggiato la sua Panda e stava salendo le scale con in mano alcune buste contenenti pratiche dell’ufficio. Non fece in tempo ad arrivare al primo piano: un uomo nell’ombra lo colpì con due colpi alla testa, poi si dileguò nel buio. Nessun testimone, nessuna telecamera, nessun indizio utile.
Pochi istanti dopo, sul luogo dell’omicidio, giunse la figlia Daniela Marcone, oggi tra le figure di riferimento dell’associazione Libera. Il suo grido straziato, “Quello è mio padre!”, resta inciso nella memoria di Foggia.
L’esposto contro i faccendieri e le prime ipotesi investigative
Solo pochi giorni prima di essere ucciso, Marcone aveva firmato un esposto ufficiale, con il quale chiariva che l’ufficio del Registro non si serviva di intermediari. Una presa di posizione netta, rivolta a notai, commercialisti e professionisti per mettere in guardia contro chi, millantando relazioni privilegiate, prometteva di facilitare pratiche in cambio di denaro.
Secondo la pista più accreditata, Marcone avrebbe messo le mani su pratiche sospette legate alla compravendita di terreni agricoli in realtà destinati a uso edificatorio. Operazioni che avrebbero potuto comportare accertamenti fiscali e il pagamento di una maxi tassa Invim, per un ammontare vicino al miliardo di lire. Un interesse economico enorme che, secondo gli inquirenti, potrebbe aver armato la mano del killer.
Indagini, sospetti e archiviazioni: trent’anni di ombre
A pochi mesi dall’omicidio, furono iscritti nel registro degli indagati un funzionario del Ministero delle Finanze, un costruttore foggiano e un imprenditore campano. Il primo fu arrestato, gli altri indagati a piede libero. Le accuse, però, si sgretolarono nel tempo. Nel 1998, su richiesta della Procura, il gip archiviò il caso ritenendo le prove “assai deboli”.
Nel 2001, una nuova pista: un ex impiegato dell’ufficio del Registro fu raggiunto da un’informazione di garanzia, sospettato di aver nascosto la pistola usata per uccidere Marcone. L’arma, però, non fu mai ritrovata. Anche una guardia giurata finì nel mirino con l’ipotesi di cessione illegale dell’arma e favoreggiamento. Ma anche questa pista si spense: l’ex impiegato morì in un incidente stradale nel 2002, e due anni dopo il gip archiviò anche questo filone.
Negli anni successivi, più volte familiari, cittadini e associazioni hanno provato a riaprire il caso, ma senza successo. L’omicidio di Francesco Marcone resta uno dei grandi misteri irrisolti di Foggia, simbolo della zona grigia tra affari, politica, silenzi e criminalità.

Le rivelazioni del pentito
Ad accendere i riflettori sul caso Marcone ci pensò agli inizi degli anni 2000, il pentito Antonio Catalano, ex killer del clan Sinesi-Francavilla, cresciuto con il boss Roberto Sinesi al “Cincilletto”, un circolo privato di viale Ofanto, ritrovo di alcuni pezzi da Novanta della mafia foggiana.
“Sinesi è nato al Cincilletto insieme a Claudio Russo, io e Michele Mansueto, eravamo tutti una cosa – ha spiegato a l’Immediato, Catalano -. All’epoca Giosuè Rizzi non c’era, stava in carcere. Il Cincilletto è il circolo privato dove fu ucciso Vincenzo Lioce“.
Poi Catalano ha confermato quanto appreso nel lontano 1999 da Marino Ciccone nel carcere di Lecce: “All’epoca Ciccone era vicino a Federico Trisciuoglio. Lo incontrai già qualche mese prima nel carcere di Foggia quando cercai di capire chi avesse ucciso mio fratello. Poi lo ritrovai a Lecce, stavamo in cella insieme. Ciccone si lamentava, si sentiva abbandonato da Trisciuoglio e Salvatore Prencipe, mentre era grato ai Sinesi che gli avevano mandato anche un regalino”.
Stando alle ricostruzioni, ci sarebbe il mondo del mattone dietro quel delitto: “Ciccone diceva che Trisciuoglio&co ‘si erano presi 500 milioni per uccidere a quello dell’Ufficio del Registro’. Me lo ricordo bene perché il giorno dell’omicidio di Marcone è anche il giorno del mio compleanno. Riguardo al costruttore mi parlò di un tale Piserchia che però non ho mai conosciuto, so solo che è morto”. Stando a quanto appreso da Catalano, Marcone sarebbe stato eliminato “per aggiustare un fatto riguardante il settore delle costruzioni”. Agli inquirenti, nel 2005, sempre Catalano disse che “c’era qualcosa, che io però non so, da nascondere in relazione a un appalto che Marcone aveva invece scoperto”.
“Trisciuoglio era uno operativo, era proprio killer. Ciccone diceva che l’esecutore materiale fu proprio lui. Nel nostro giro lo ritenevamo sempre molto pericoloso, lui ma anche Salvatore Prencipe. All’epoca Trisciuoglio agiva in prima persona. Se devi essere un boss devi avere anche le palle per uccidere, se non le hai stai al posto tuo che fai prima”.
Trisciuoglio, alias “Enrichetto lo Zoppo” o “Polpetta” è morto ad ottobre 2022 dopo una lunga malattia, il suo storico alleato Prencipe detto “Piè veloce” è invece stato ammazzato a maggio 2023. In buona sostanza, i presunti responsabili dell’omicidio Marcone, compreso il misterioso Piserchia, sarebbero scomparsi da tempo.
Marino Arturo Pio Ciccone, oggi 66enne, foggiano residente a Manfredonia, fu uno degli imputati della strage del Bacardi. Venne arrestato il 12 settembre 1988 e condannato a 28 anni per la mattanza di mafia del primo maggio 1986 a Foggia, quattro morti e un ferito.
Tornato libero si trasferì a Manfredonia, ma è stato di nuovo arrestato a ottobre 2024 nel maxi blitz antimafia “Mari e Monti” contro il clan garganico Li Bergolis-Miucci, noto anche come il “clan dei montanari”. Per lui accuse di estorsione a imprenditori garganici.
Il ricordo e l’impegno di una città
Nel trentesimo anniversario, Foggia si ferma per ricordare un servitore dello Stato ucciso per onestà, un uomo che ha pagato con la vita la sua determinazione nel difendere la legalità. La battaglia per la verità continua grazie all’impegno della famiglia e della società civile.
Ma il tempo che passa senza giustizia è una ferita aperta. E ogni 31 marzo diventa, per la città di Foggia, una domanda senza risposta.