La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Matteo Li Bergolis, annullando con rinvio l’ordinanza della Corte di Assise di Appello di Bari del 10 giugno 2024, che aveva rigettato la richiesta dell’imputato di computare un periodo di carcerazione sofferta inutilmente, tra il 28 ottobre 1999 e l’11 luglio 2001, ai fini della pena attualmente in esecuzione. La decisione richiede ora un nuovo esame da parte di un’altra sezione della Corte territoriale.
Il caso
Matteo Li Bergolis, nato a Monte Sant’Angelo nel 1973, fratello maggiore dei boss Armando e Franco Li Bergolis, tutti nipoti del capomafia defunto, Ciccillo Li Bergolis, sta scontando una condanna definitiva a 26 anni e 6 mesi di reclusione per reati legati all’associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990), commessi dal 1999 e giudicati nel noto processo Iscaro-Saburo, dal nome della maxi operazione del 2004 che portò a 99 arresti nella mafia garganica, in particolare nel clan dei montanari Li Bergolis-Miucci. Tuttavia, la difesa ha richiesto che venisse applicato l’istituto della fungibilità delle pene detentive, includendo un periodo di custodia cautelare risalente a un altro procedimento, quello della Faida del Gargano, dal quale Li Bergolis era stato assolto perché il fatto non sussisteva.
La Corte di Assise di Appello di Bari aveva rigettato la richiesta, sostenendo che la carcerazione cautelare fosse stata sofferta in un periodo antecedente alla cessazione della condotta associativa per la quale è stata emessa la condanna definitiva. Tale posizione, per i giudici pugliesi, precludeva l’applicazione della fungibilità ai sensi dell’art. 657, comma 4, c.p.p.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto insufficiente la motivazione della decisione della Corte barese. Secondo gli ermellini, la Corte di Appello ha effettuato una verifica solo parziale delle condotte riferite ai reati contestati, limitandosi a considerare la permanenza del reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), senza applicare lo stesso criterio al reato di associazione per il traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990).
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto individuare in maniera precisa la data di cessazione della permanenza delle condotte, evitando di ancorarsi unicamente alla data formale della sentenza di primo grado, come erroneamente sostenuto nella pronuncia impugnata. La Corte ha richiamato un principio già affermato in precedenza, secondo cui, in caso di reati associativi, il momento consumativo non può essere presunto coincidente con la sentenza di condanna, ma deve essere verificato in concreto.
Un nuovo esame necessario
La Cassazione ha evidenziato un “deficit motivazionale” nella decisione della Corte di Assise di Appello di Bari, ritenendo che quest’ultima non abbia adeguatamente considerato i criteri stabiliti dalla giurisprudenza in materia di fungibilità delle pene. Il caso sarà ora riesaminato, con l’obbligo per i giudici di colmare le lacune riscontrate e di valutare se il periodo di custodia cautelare richiesto da Li Bergolis possa effettivamente essere computato nella pena in esecuzione.
La sentenza della Cassazione rappresenta un ulteriore capitolo in una vicenda giudiziaria complessa, che vede al centro uno dei protagonisti di vicende criminali legate alla Faida del Gargano e alla criminalità organizzata pugliese. Conti alla mano, Li Bergolis potrebbe iniziare ad intravedere la libertà.