Antonio La Porta, un sacrista di 46 anni del Santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, è stato licenziato ben tre volte per aver contribuito a migliorare il contratto di lavoro dei sacristi in tutta Italia attraverso il suo impegno sindacale nella Fiudacs (Federazione Italiana Unione Diocesane Addetti al Culto). Le sue colpe? Aver ottenuto un aumento di stipendio da 5,50 euro a 9 euro l’ora per i suoi colleghi e aver portato avanti la sua attività sindacale con dedizione. Al momento, sono ben 3 le sentenze a favore del sagrestano. Nonostante le ripetute condanne da parte del Tribunale di Foggia, che ha definito i licenziamenti “pretestuosi, discriminatori e ritorsivi”, i Frati Cappuccini della Fondazione San Pio da Pietralcina si rifiutano di reintegrarlo al lavoro.
Il 4 aprile si torna in aula, davanti alla dottoressa Aquilina Picciocchi con l’inizio del quarto processo della Fondazione San Pio contro La Porta: Padre Aldo Broccato contesta tutte le tre sentenze dei giudici, contestando ai giudici persino l’aver accettato l’art. 700 richiesto dal lavoratore, dichiarandolo ingiusto. Tuttavia, il non aver rispettato tutte le sentenze esecutive, potrebbe causargli diversi problemi. “Io voglio rientrare al lavoro come stabilito da tre sentenze che mi hanno dato ragione. Il 4 aprile inizierà il quarto processo su questa vicenda, neanche fossi un sicario di Cosa Nostra“, ha dichiarato La Porta a Fanpage.it.
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A pesare in questa vicenda sono anche le dichiarazioni e i grandi silenzi degli altri religiosi. Monsignor Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo e testimone al processo, scarica le responsabilità sui frati: “È a loro che dovete chiedere perché La Porta non è tornato al lavoro“. Il suo ruolo, dunque, sarebbe importante nel vicende. Come riferito dal giornale online, Moscone viene citato nella seconda sentenza del Tribunale di Foggia per aver inviato due e-mail alla Fiudacs nella quale sosteneva che La Porta “aveva dimostrato di avere interessi unicamente di materia sindacale”, come se questa fosse una colpa e non invece un diritto esercitato legittimamente. “Il comportamento del vescovo è il peggiore di tutti. Si è accanito verso di me, che avevo uno stipendio di 870 euro dopo 22 anni di lavoro, per aiutare i frati in una faccenda su cui hanno pienamente torto, quella del mio licenziamento”, ha commentato La Porta.
Padre Aldo Broccato, legale rappresentante della Fondazione – firmatario del licenziamento e di tutte le cause – invece si trincera dietro il silenzio, rifiutandosi di fornire spiegazioni: “Circa la situazione per la quale ci interpella ed essendoci un contenzioso in corso – ha risposto a Fanpage -, ci dispiace, ma non riteniamo opportuno rilasciare interviste o dichiarazioni in merito”.
La Porta, come in tutti questi casi, ora ha certamente in mano diversi strumenti per chiedere l’esecuzione forzata delle sentenze, fino ad arrivare in casi estremi al pignoramento dei beni. I frati, dal canto loro, hanno tempo fino al 3 aprile per chiudere la vicenda, per trovare un accordo prima dell’ingresso in aula.