Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Si potrebbe scomodare Sant’Agostino per sintetizzare l’approccio utilizzato dai frati cappuccini di San Giovanni Rotondo nei confronti del sagrestano del convento di San Pio. Antonio La Porta era già stato licenziato, prima che una sentenza del Tribunale di Foggia, definendo il provvedimento una vera e propria “ritorsione” per il lavoratore, disponesse il reintegro nel noto luogo di culto progettato da Renzo Piano. Ma le sfarzose vette architettoniche, simbolo dell’enorme aura spirituale del santo di Pietrelcina, si sono sgretolate nei palazzi della giustizia. Sì perché in opposizione alla decisione dei giudici, che prevedevano il reintegro immediato, il neo ministro provinciale dei Frati Cappuccini di Foggia, padre Francesco Dileo e il nuovo rettore del Santuario di San Giovanni Rotondo e responsabile legale della provincia monastica padre Aldo Broccato, hanno fatto ricorso. Perdendo nuovamente.
La vicenda
Il sacrista venne licenziato il 20 giugno scorso dai Frati Cappuccini di San Giovanni Rotondo con un provvedimento firmato dal nuovo rettore del Santuario Padre Aldo Broccato, difeso dall’avvocato Vincenzo De Michele, per giustificato motivo oggettivo. Il motivo, è bene ricordare, a detta dei frati era riconducibile alla posizione sindacale del lavoratore, reo di aver preso parte nella delegazione dei rappresentanti nazionali di categoria dei dipendenti al culto, per il rinnovo del Ccnl 2022/2025, scaduto nel dicembre 2021. Tale nomina nazionale di La Porta è stata fatta per elezione tra i rappresentanti eletti a Rimini nel maggio 2022 proprio dalla giunta nazionale Fiudacs (Federazione italiana addetti al culto). I frati, nella lettera di licenziamento, accusavano duramente il lavoratore, inviando contemporaneamente anche una pesante lettera denigratoria all’ente bilaterale composta tra i datori e i lavoratori (Enbiff), non sapendo che, proprio in quei giorni la stessa lettera sarebbe finita sul tavolo dello stesso La Porta che, nel frattempo, aveva ricevuto un’ulteriore nomina anche nell’ente bilaterale stesso, definendolo “sedicente sacrista, sindacalista di se stesso e fonte di false informazioni che hanno indotto ai soggetti firmatari a false informazioni e che hanno indotto i soggetti firmatari ad accettare un incredibile contratto ad personam”.
La Porta è stato addirittura additato come “fraudolento” solo per aver svolto il suo ruolo
La Fondazione San Pio da Pietrelcina inoltre ha dichiarato che a causa del rinnovo del contratto, completo dell’appendice A dedicata proprio ai grandi santuari (di cui non c’è dubbio che San Giovanni Rotondo lo sia), avrebbe subito maggiori esborsi quantificati in 300/400mila euro annui. Una cifra che avrebbe comportato “la chiusura del santuario e il licenziamento di tutti i lavoratori”. Perciò, la funzione di La Porta sarebbe stata revocata per affidarla “alle suore volontarie”, sostenendo peraltro l’impossibilità di ricollocare il lavoratore e, dunque, licenziandolo senza preavviso.
La Porta è stato addirittura additato come “fraudolento” solo per aver svolto il suo ruolo senza avvisare e senza concordare nulla con il proprio datore. Il 26 settembre, il giudice del lavoro Aquilina Picciocchi, si è pronunciato dichiarando la condotta “antisindacale e ritorsiva” della Fondazione, e quindi dichiarato nullo il licenziamento, con la conseguente condanna al pagamento delle spese legali e al risarcimento dei danni al lavoratore per almeno 5 mensilità. La questione sembrava chiusa, ma i frati hanno inviato immediatamente una pec al dipendente, dichiarando di ritenere profondamente ingiusta la sentenza, annunciando perciò l’imminente ricorso con art. 669 tardecies (appello alla sentenza di primo grado in forma collegiale dinanzi a tre giudici del lavoro), senza versare quanto stabilito dal giudice. La Porta così è stato sospeso prima che potesse ritornare al lavoro per poi essere licenziato – 5 giorni dopo – con un nuovo motivo (e con effetto retroattivo). Come se non bastasse, il sacrista è stato espulso dall’associazione dei lavoratori, il giorno della sentenza, per non aver pagato la quota annuale. Con una pec la decisione è stata subito inviata alla Fondazione che l’ha utilizzata come clava per il nuovo licenziamento, sostenendo che il sacrista avrebbe recato un “grave nocumento per la Chiesa”.
“L’accanimento” per confermare il compenso di 5,5 euro l’ora
Si è trattato di un “vero e proprio accanimento, sicuramente non sono più gradito per aver svolto il mio ruolo, come si legge nella sentenza, in perfetta linea con i principi costituzionali a favore e beneficio di tutti i lavoratori italiani”, dice La Porta. “È bene ricordare che fino all’ entrata in vigore del nuovo Ccnl (luglio 2023) il compenso era di soli 5,50 euro/ora – prosegue -, fermo da oltre dieci anni (pensate che il secondo livello, per i primi 10 anni dall’assunzione era fermo a 900 euro lordi per 44 ore settimanali, domeniche tutte lavorative e senza nessun supplemento), mentre con il rinnovo attuale sale finalmente alle fatidiche e tanto discusse 9 euro lordi/ora, con supplemento domenicale. Insomma la Fondazione vuole lasciare tutto come prima non accettando nessuna novità e comunque continua a farlo, infischiandosi del resto tra l’ altro senza potersi esimere, in quanto il Ccnl è ormai in vigore”.
Confermata in toto la decisione la decisione già presa dalla giudice Picciocchi
La Porta, difeso dagli avvocati Ottavio, Marco e Matilde Pannone del foro di Caserta, ha dovuto partecipare ad altre 2 udienze per 2 motivi diversi: il 9 novembre l’udienza per il secondo licenziamento e il 16 novembre per il ricorso al collegio dei giudici per il primo licenziamento, davvero troppo per un dipendente dell’ente morale per eccellenza come la Chiesa. E la domanda sorge spontanea: la Fondazione con quali soldi ha pagato le spese legali? Con oblazioni dei fedeli? E se si, i fedeli ne sono a conoscenza? La seconda e definitiva sentenza è arrivata nei giorni scorsi: i giudici del lavoro del tribunale del lavoro di Foggia, Beatrice Notarnicola, Ivano Caputo e Lilia M. Ricucci, con la sentenza 8715/2023 hanno rigettato integralmente il ricorso della Fondazione dei Frati Cappuccini, confermando quanto stabilito dalla giudice Picciocchi, rimarcando la condotta antisindacale e soprattutto ritorsiva del licenziamento. Insomma davvero una pessima figura dei frati, di cui padre Francesco Dileo è il ministro provinciale da quest’anno. Questa sentenza mette la parola fine al primo licenziamento.
Una lunghissima lista di testimoni
In questo contenzioso singolare, quello che sicuramente colpisce è senza dubbio il folto numero dei testimoni: il rettore e il guardiano del Santuario, rispettivamente padre Aldo Broccato e padre Rinaldo Totaro, addirittura il vescovo della diocesi di Manfredonia, monsignor Franco Moscone. Insomma, nomi pesantissimi e forse inopportuni per il licenziamento del lavoratore che, come accertato da prove documentali e definitivamente stabilito dai giudici, ha svolto soltanto il proprio dovere con serietà e spirito di abnegazione del ruolo pur non essendo, come si legge nella sentenza, neanche lui il firmatario del Ccnl, bensì firmato dai soli rappresentanti legali delle due sigle, ovvero per i lavoratori Cristian Remeri (Fiudacs) e per i datori mons. Antonio Interguglielmi (Faci), dimostrando ancor di più che La Porta non ha agito in autonomia per un tornaconto personale. La Porta, che è molto legato al suo lavoro di sacrista e allo stesso Santuario dei Frati Cappuccini, si dice “profondamente dispiaciuto per quanto sta accadendo” e che mai avrebbe voluto tutto questo e si dice “pronto a informare Papa Francesco, pur di dare un punto fermo a questa vicenda. Non ho fatto nulla di male, ho il giudizio di ben 4 giudici a mio favore e voglio che questo luogo torni ad essere un luogo di preghiera e di accoglienza dei pellegrini, Padre Pio non merita questo’”, conclude.