Un attaccamento alla poltrona più unico che raro. Sono stati giorni di telefoni fumanti a Manfredonia dopo la decisione di 14 consiglieri comunali di dimettersi facendo decadere il sindaco Gianni Rotice. Due di loro, però, hanno revocato le dimissioni “salvando” il primo cittadino in extremis, a poche ore dalla protocollazione delle firme.
Centrale il ruolo di Adriano Carbone, consigliere indipendente dopo l’estromissione da Fratelli d’Italia per il suo coinvolgimento nel processo contro il clan mafioso Lombardi-Scirpoli-Raduano. Carbone, tra i 14 firmatari – non solo ha cambiato idea, ma si è anche speso per convincere membri dell’opposizione a ripensarci con la prospettiva di ottenere persino un assessorato. E strumentalizzando le parole del vescovo Franco Moscone che aveva mostrato sconcerto per la caduta dell’amministrazione comunale.
Carbone avrebbe invitato tutti a sedersi attorno ad un tavolo con il sindaco – opposizione compresa – per trovare punti in comune in vista della marea di fondi Pnrr in arrivo. Avrebbe anche evidenziato l’apertura del sindaco alla minoranza, attaccando Forza Italia che avrebbe agito soltanto per questioni personali. Carbone si sarebbe speso come mai nella sua vita, arrivando quasi a “stalkerizzare” un membro dell’opposizione per convincerlo a ritirare le dimissioni, questo prima ancora che Vincenzo Di Staso di Forza Italia facesse un passo indietro salvando lo stesso Rotice dalla caduta.
Molto attiva sarebbe stata l’assessora al Bilancio, Antonella Lauriola – in qualità di assessore anziano – che avrebbe offerto un assessorato allo stesso membro della minoranza contattato da Carbone. Un altro assessorato sarebbe stato offerto proprio a Carbone che molto probabilmente si andrà a sedere – da imputato in un processo di mafia – tra i banchi della giunta comunale. Nessuna apertura a tutte le forze politiche, dunque, ma solo scelte dirette. Il membro della minoranza “pressato” non avrebbe dato alcuna sponda, tenendo i nervi saldi nonostante l’ipotesi di andare ad occupare un ruolo da vicesindaco o da assessore al Personale, incarichi rimasti vacanti dopo la cacciata di Giuseppe Basta e Libero Palumbo.
Lauriola avrebbe chiesto al consigliere di pensarci, non per attaccamento alla poltrona, ma per senso di responsabilità. Ci avrebbe provato lo stesso Rotice, sempre più disperato ma anche determinato nel salvare la poltrona. Ma le sue chiamate sarebbero rimaste senza risposta.
Poi però, come detto, ci ha pensato il forzista Vincenzo Di Staso – forse “vittima” di pressioni familiari – a tenere in vita Rotice per il rotto della cuffia. Adesso il sindaco – che nel frattempo si è dimesso – ha venti giorni di tempo per un rimpasto di giunta e per rafforzare la maggioranza.
Il suo attaccamento alla poltrona sarebbe dimostrato anche dalla difficoltà dei consiglieri d’opposizione di recarsi dai notai di Manfredonia, tutti stranamente indisponibili, per firmare le dimissioni. I politici, infatti, si sono recati da un professionista di Borgo Celano, agro di San Marco in Lamis. I primi a recarsi, i quattro di Forza Italia, poi quelli della minoranza. Mentre le consigliere Valentino e Fresca da notai del Veneto e della Calabria dove si trovavano al momento della decisione. Una circostanza che ha fatto tardare la protocollazione delle firme.
Grottesco il doppio gioco di Carbone che avrebbe firmato le dimissioni solo per diventare il jolly della questione e tenere il pallino in mano e avere un peso nelle decisioni. Non sapendo se Fresca, dalla Calabria, sarebbe riuscita a protocollare, Carbone è voluto essere il 13esimo “dimissionario” per poter poi far cadere l’iniziativa dell’opposizione. Ci sarebbe inoltre il tentativo di far scattare consigliere Ritucci, possibile rinforzo per la maggioranza e primo dei non eletti. Tutto è sotto la lente di ingrandimento della Prefettura di Foggia guidata da Maurizio Valiante. Lo Stato interverrà?
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