Il 30 per cento di pugliesi tra i 15 e i 29 anni, non lavorano, non studiano e non si formano. Lo riporta Repubblica Bari in un approfondimento. Nella nostra regione emerge un tasso che supera la media nazionale, tocca il 23 per cento e posiziona la Puglia al quarto posto in Italia sul tema. Tanti i motivi: difficoltà di natura scolastica (24,2%) e nel trovare lavoro (23,5%), problemi familiari (17,4%) demotivazione e disorientamento giovanile (13%). Ecco quindi che cresce il fenomeno dei “neet” (not engaged in education, employment or training).
Come riporta Repubblica, i dati spuntano fuori da un lavoro di ricerca condotto da Alberto Fornasari, direttore Cirpas (Centro interuniversitario di ricerca popolazione, ambiente e salute) e docente di pedagogia sperimentale dell’Università di Bari e da Matteo Conte, dottorando di ricerca. I risultati sono stati presentati durante un incontro organizzato dalla Cisl Puglia. Come agire e quali azioni promuovere per arginare il problema sono le domande che hanno spinto il sindacato a organizzare un incontro allargato anche con gli assessori regionali allo Sviluppo Economico, Alessandro Delli Noci e all’Istruzione, Sebastiano Leo.
Una prima tappa di un progetto più ampio per affrontare la maglia nera di inattivi pugliesi: “Questo studio conferma che servono precisi obiettivi – commenta il segretario regionale della Cisl, Antonio Castellucci – bisogna muoversi insieme nel mondo del lavoro, dell’università, della formazione e delle imprese”. Il lavoro di ricerca offre dati quantitativi e qualitativi da cui ripartire per la costruzione di un tavolo istituzionale più ampio. Il campione preso in esame è formato sia da dirigenti del sindacato che da ragazzi distinti per fascia d’età e titolo di studio. Orientamento, formazione ed incontro fra domanda offerta sono i temi che più ricorrono nel fenomeno dei neet e dove le disuguaglianze sociali giocano ancora un ruolo importante. “Sono un ragazzo di 25 anni residente in Puglia. Mi sento inutile e senza una direzione: ho studiato in un istituto professionale, ma mi è servito a poco – racconta Francesco in una video testimonianza -. Vorrei fare l’elettricista ma venivo pagato 350 euro al mese. Ho preferito rinunciare perché non mi sentivo valorizzato”.
Eppure – ricorda Repubblica – gli Its, ovvero gli istituti tecnici superiori post diploma, sono modellati per soddisfare le esigenze delle imprese, ma durano due anni. E per chi come Francesco ha bisogno di lavorare fin dal post diploma, questa non è una soluzione adeguata. Formazione e politiche del lavoro: mondi che dovranno dialogare soprattutto in Puglia dove si radicano i primi potenziali inattivi fin dai tempi della scuola, per via della dispersione implicita. C’è chi è demotivato nel finire gli studi perché non riesce a individuare un obiettivo o non conosce la strada più adatta per accedere al mondo del lavoro. E trovare un’occupazione non basta, perché vigono contratti precari e a breve termine che scoraggiano e spesso umiliano i più giovani. “Non si possono garantire stipendi solo nella stagione estiva, noi ragazzi non possiamo vivere solo di turismo” spiega Loredana, 22 anni, diplomata.
Sebbene nel 2022 in Puglia ci siano stati 60mila occupati in più rispetto al 2021, in realtà sono aumentati anche i contratti autonomi. Una condizione non sufficiente per trattenere i giovani: la grande sfida economica e sociale visto il progressivo decremento demografico e l’aumentare della denatalità. Il futuro è lontano e opprimente ancora per troppi giovani. Il mismatch tra formazione e lavoro potrebbe aumentare nei prossimi anni e colpire imprese nel settore della transizione digitale e green economy, il futuro economico del paese, secondo un report di Banca d’Italia pubblicato a marzo. Maggior orientamento nelle scuole e nell’università, strutturazione degli sportelli per il lavoro, una formazione più adeguata degli addetti ai lavori e del sindacato in materia neet sono le strade da cui ripartire secondo i risultati della ricerca. (fonte Repubblica Bari)