La Cassazione boccia Leonardo D’Ercole, presunto esponente di spicco del clan mafioso garganico Lombardi-Scirpoli, al vertice della frangia di Macchia, frazione di Monte Sant’Angelo. L’uomo, 50 anni, venne arrestato nella maxi operazione antimafia “Omnia Nostra” del dicembre 2021. Il blitz è poi sfociato in un processo a carico di 45 persone tra cui boss, sodali e colletti bianchi.
D’Ercole aveva fatto ricorso contro l’arresto ma il suo tentativo è stato respinto sia dal Riesame che ora dalla Cassazione. I giudici della Suprema Corte hanno ricostruito oltre 40 anni di storia criminale garganica, partendo dalla faida montanara tra Li Bergolis e Primosa-Alfieri fino ai giorni nostri.
“Il giudice del riesame – si legge – ricordava che a D’Ercole era contestata la partecipazione al gruppo, quale soggetto vicino a Pasquale Ricucci“, il capoclan detto “Fic secc”, ucciso nel 2019, “per il quale – riporta la sentenza della Cassazione -, unitamente a sua moglie, era stato testimone di nozze nel 1999 e Matteo Lombardi, stabilmente a disposizione del sodalizio e particolarmente impegnato in azioni d’intimidazione e controllo del territorio di Monte Sant’Angelo”.
Rilevante il passaggio su Giovanni Caterino, il basista della strage di San Marco in Lamis condannato all’ergastolo per quella mattanza, membro dei rivali Li Bergolis-Miucci-Lombardone: “I gravi indizi a carico dell’indagato D’Ercole si traevano da plurime captazioni che evidenziavano non solo l’intimità e la confidenza tra il ricorrente e Ricucci – scrivono i giudici -, bensì i temi trattati nell’ambito di dette conversazioni, inerenti delicate questioni della vita associativa e denotanti la consapevole organicità di D’Ercole al sodalizio: l’originaria proposta di partecipazione all’agguato ai danni di Giovanni Caterino (‘me l’hanno chiesto a me, io non l’ho voluto fare’), la diretta partecipazione, unitamente a Ricucci, all’azione intimidatoria ai danni di un giovane di nome Alessandro che si era espresso irrispettosamente nei riguardi di quest’ultimo; il ruolo di tramite nei rapporti con il gestore della società Primo Pesca; la preoccupazione manifestata in ordine alla presenza di un ‘dispositivo anomalo’ (una telecamera installata dagli investigatori) nei pressi dell’abitazione di Ricucci, estirpata alcuni giorni dopo le conversazioni intercettate”.
Si parla inoltre di D’Ercole come persona con un ruolo di “controllo del territorio per la frazione di Macchia”. Infine, il riferimento “alle propalazioni di Danilo Pietro Della Malva, collaboratore di giustizia originariamente appartenente al medesimo gruppo criminale, il quale ha confermato la partecipazione di D’Ercole, siccome riferita da Pasquale Ricucci e da Antonio Quitadamo“, anche quest’ultimo pentito.
Nel bocciare il ricorso, la Cassazione parla di “elementi probatori significativamente convergenti nel senso della gravità indiziaria dell’esistenza dell’ipotesi criminosa di cui all’art. 416-bis cod. pen., ricordando come il nuovo gruppo criminale, dopo la morte di Mario Luciano Romito, fosse retto da Lombardi e Ricucci e operasse su quattro articolazioni territoriali (Manfredonia, Mattinata, Monte Sant’Angelo-frazione Macchia e Vieste), l’ultima delle quali in contrapposizione con l’organizzazione criminale mafiosa facente capo a Li Bergolis che aveva dato vita a una feroce contrapposizione armata per l’acquisizione del controllo del territorio”.
Sono reputati “emblematici” dai giudici “il controllo del commercio ittico di Manfredonia, per la vendita all’ingrosso e al dettaglio di pesce, esercitato attraverso due imprese appartenenti al sodalizio” con i pescatori “obbligati a vendere prodotto sottoprezzo alle imprese gestite dall’associazione” e “l’occupazione violenta di terreni e immobili, ottenuta facendo leva sul clima di terrore imposto dal clan ai legittimi proprietari, da cui è derivato un indiscriminato sfruttamento di vaste porzioni di territorio a vantaggio delle attività di allevamento delle imprese riconducibili al sodalizio mafioso”. Infine, “la commissione di truffe a danno dell’Inps”.
Il macchiaiolo viene definito come “uomo di fiducia” dei boss, con un ruolo svolto “a beneficio degli interessi illeciti del clan”, “in diretto rapporto fiduciario con i vertici Ricucci e Lombardi e che, significativamente, si preoccupava delle vicende criminali del gruppo e delle possibili intercettazioni delle loro conversazioni”. Il ricorso dell’indagato è stato dunque ritenuto “inammissibile”. (In alto, foto tratta dal video dell’operazione Omnia Nostra)
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