Aveva quattro anni e mezzo quando sua madre fu uccisa da suo padre. Era il 21 febbraio 2003. Orfano per femminicidio, Alfredo Traiano, cui a Foggia hanno ucciso anche lo zio Francesco Traiano nel suo bar, ha portato la sua testimonianza alle alunne del Liceo Poerio per celebrare degnamente il 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza contro le donne, nel convegno organizzato dalla Polizia dentro al programma nazionale “Questo non è amore”.
“Noi come Questura di Foggia non lo abbiamo mai abbandonato, è diventato parte della nostra famiglia. La polizia è famiglia. Divulgate la non violenza” hanno esplicitato gli ispettori.
Quando è arrivato il momento di Alfredo pochi sono riusciti a trattenere le lacrime. “Voi dovete denunciare come io ho fatto. È la paura che vi fa rimanere vittime. Nel 2003, non c’erano ancora leggi che contrastavano le violenze e non esisteva ancora la parola femminicidio per indicare il reato. Mia madre è rimasta incinta tra i banchi di scuola. Conosce un ragazzo al primo superiore e al quinto superiore rimane incinta. È felice di avere un figlio, trova un lavoro e non vede l’ora di andare a vivere col suo uomo. Mio padre appariva come il principe azzurro, la riempiva di regali, attenzioni. Un uomo invidiato dalle sue amiche. Ma nel diario intimo di mia madre si legge la verità. Un mese prima della sua uccisione scrisse: la persona che mi sta per uccidere è il mio principe azzurro. Lo scrive per non fare dubitare che la sbagliata fosse lei”.
La madre di Alfredo conosce subito la violenza ma per troppo tempo perdona. “I primi schiaffi iniziano appena si trasferiscono incinta di me e lo sbaglio che ha fatto mia madre è stato iniziare a giustificare quegli schiaffi. Quando sono nato il mio pianto gli dava fastidio. Ci sbatteva fuori quando piangevo e prendeva mia madre a schiaffi se lei contestava. Gli dava fastidio che essendo una cassiera tutti la guardassero. La voleva in casa. Ma mia madre non si è mai lasciata intimorire e ha continuato a lavorare fino al giorno prima di morire. Non si è mai persa nelle paure. Per due anni continua la relazione, aveva accumulato referti di fratture e contusione. Non andava più dai genitori per la vergogna. Ma poi riuscì a lasciarlo dopo l’ennesima violenza”.
Alfredo ha raccontato anche gli abusi ricevuti, il tentato rapimento da parte del padre. Dormiva abbracciato alla madre che temeva di perderlo. “Il 21 febbraio 2003 quel vigliacco di mio padre uccise mia madre con un colpo di pistola alle spalle. Oggi mi manca quell’abbraccio. La cosa che mi dava più fastidio da piccolo era non poter pronunciare la parola mamma. Ho avuto dei supereroi che sono stati i miei nonni materni che mi hanno aiutato a superare la rabbia contro l’uomo nero che mi aveva tolto tutto, mi aveva sottratto la famiglia. Mi ha reso inabile nell’avere il calore materno. Continuerò per sempre con la prima frase del diario personale di mia madre nel cuore: Dedo sorridi sempre, la vita è bella. Era una donna che aveva capito che era vicina la fine della sua vita. È stata picchiata anche nei camerini della Mongolfiera, sul lavoro”.
Alfredo è vissuto con il suo dolore. A 18 anni cambia il suo cognome da Matera in Traiano. “Non porto più il cognome di quell’assassino che vive e fa la sua vita. L’amore non sono i regali o l’attenzione morbosa, ma la cura”.
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