Peccano di umiltà e di confronto i pentastellati, secondo il segretario cittadino foggiano del Psi Mino Di Chiara. Fa discutere l’approccio di alcuni eletti del M5S alle prossime amministrative del Comune di Foggia, che se sarà accolta l’istanza di proroga richiesta dalla commissione straordinaria dell’Ente sciolto per mafia, si avranno solo tra un anno, nell’autunno 2023. L’assessora regionale Rosa Barone e l’europarlamentare Mario Furore si sono detti convinti della leadership del M5S, che, a loro dire, dovrebbe indicare il candidato sindaco in una eventuale larga alleanza col centrosinistra, sul modello del governo regionale di Michele Emiliano. I due maggiorenti a 5 Stelle hanno anche posto dei diktat su possibili nomi dem o socialisti. Netto no alla candidatura di Lia Azzarone, Annarita Palmieri o Giulio Scapato.
«È fuori dal mondo – osserva Di Chiara – venirsi a proporre in coalizione in questo modo, quando ancora non si sa il perimetro dato che loro sono da poco sopraggiunti in questo perimetro per volere del presidente Emiliano, le loro affermazioni sono ridicole. Loro non possono affermare che i tempi e modi debba deciderli il M5S. Si pecca di umiltà e di confronto, che non c’è mai stato. Mi fa allarmare poi quando fanno i nomi, mi sembrano dei tagliatori di testa, non è un modo di sedersi al tavolo. Nessuno può permettersi di giudicare chi deve essere candidato in un’altra formazione politica».
Secondo Di Chiara, i pentastellati «sono troppo galvanizzati e gasati dall’esito delle Politiche a Foggia città». E spiega: «Le Comunali sono altro, fare un paragone e rapportare i voti del 25 settembre alle amministrative è utopia. Quando si entra in una coalizione o si vuole aggregare non si può farlo in questo modo. La commissione ha chiesto altri 6 mesi di proroga, ma in città non si parla bene dell’operato della commissione, non è stato scavato a fondo nulla, non è venuto a galla nulla dopo quelle indagini iniziali. In questi mesi hanno fatto normale amministrazione, mi aspettavo dell’altro, è chiaro che avrebbero dovuto dare una svolta alla città».
Per Di Chiara la svolta non può essere dettata dai desiderata del MoVimento. «Quando si fanno nomi, mi sembrano dei tagliatori di teste, molto molto lontani dal mio pensiero. Cinque o sei mesi fa come socialisti abbiamo fatto una manifestazione in cui abbiamo già indicato la nostra opzione, il massimo per la coalizione, una persona pacata, ragionevole, che è già riuscito a dimostrare di saper aggregare nel 2019, ma che purtroppo, come tutti sappiamo ha perso perché la partita era truccata. Un nome i socialisti lo hanno già speso ed è quello di ricandidare l’ingegner Pippo Cavaliere, che noi stimiamo, ma che è sopratutto stimato dalla città per il suo trascorso nella Fondazione Antiusura. Lui per noi incarna ancora alla perfezione il miglior candidato sindaco per Foggia». E conclude: «Non mi fido dei pentastellati neppure al ballottaggio. Due anni fa buona parte di loro, Rosa Barone compresa, votò per Franco Landella».
Sulla stessa falsa riga anche il segretario cittadino dem Davide Emanuele, che in un post social ha evidenziato che «il prossimo governo di Foggia non è un affare esclusivo dei partiti ma deve coinvolgere i cittadini e la società civile intorno a un’idea di città». A suo avviso, «il risultato delle politiche del 25 settembre è una parentesi che sconsiglia atteggiamenti prevaricatori da parte di chiunque, non commettendo l’errore di confondere voto amministrativo con il voto politico».
Né ipoteche né privilegi, è quello che chiede il piddino, che pone un solo limite. «L’unico vero limite deve essere quello di non aprire la porta a riciclati delle amministrazioni Landella. Il Movimento 5 Stelle contribuisca a garantire qualità e collaborazione a questa discussione. La comunità democratica garantirà, come ha sempre fatto, qualità e rappresentatività, scegliendo autonomamente le donne e gli uomini che dovranno portare avanti il progetto di futuro per Foggia».
Il post di Emanuele ha generato molta discussione. Tra i tanti commenti anche quello di Maria Pia Tavano, che era candidata nella lista Pd del 2019, che scrive: «La Barone non ha scorso, con la dovuta attenzione, la lista presentata dal PD alla passata consultazione amministrativa. L’avesse fatto, avrebbe letto nomi nuovi di giovani donne e uomini che per la prima volta si cimentavano in quella affascinante competizione, tranne alcune sparute eccezioni. L’avesse fatto, avrebbe letto che ognuno di questi giovani era già inserito professionalmente nel tessuto cittadino e che ognuno di loro agognava lo scranno non per avere, appunto, visibilità e notorietà, ma, per servire la propria città, cercando di renderla un posto migliore in cui vivere».