Antonio La Selva detto “Tarzan” ha confermato tutto. Nelle 166 pagine dell’incidente probatorio andato in scena nell’aula bunker di Bitonto, il pentito manfredoniano ha risposto alle domande di giudici e avvocati nell’ambito del procedimento “Omnia Nostra”, maxi operazione antimafia del dicembre 2021 contro il clan Lombardi. “Tarzan”, pescivendolo, avrebbe subito vessazioni per anni da parte dei boss Matteo Lombardi, il figlio Michele, Pasquale Ricucci (ucciso nel 2019) e Pietro La Torre.
Iniziò tutto da Ricucci, capomafia garganico e nome storico della criminalità del promontorio. Agli inizi sodale del clan dei Montanari, poi leader del gruppo mafioso egemone tra Manfredonia, Macchia e Mattinata. Fu lui, alias “Fic secc” ad avvicinare La Selva mentre quest’ultimo lavorava nel capannone della “Primo Pesca srl”. “Ricucci passava, quando portava gli animali, con il camion e gli animali dentro però durante la giornata, quando gli animali stavano là, lui passava con la macchina, all’epoca aveva una Fiat 16 nera. Un bel giorno si fermò e mi disse: ‘Mi puoi fare un favore? Mi puoi dare un po’ d’acqua?’ e io gli dissi: ‘Qual è il problema? L’acqua non si nega a nessuno’, dice: ‘No, c’ho gli animali che fa caldo, ogni tanto la pompa dell’acqua che io c’ho non mi va bene’ perché loro avevano il pozzo, il pozzo artesiano. Gli diedi l’acqua, poi dall’acqua gli diedi il ghiaccio perché faceva caldo, man mano si è creato questo rapporto, ghiaccio, acqua, lui portava ogni tanto il caciocavallo, un po’ di carne, è andato avanti per qualche mese”.
Poi la richiesta a sorpresa: “Devi mettere a lavorare mio zio Mario Scarabino”. Così fu. Iniziò così un calvario, confermato da La Selva e perfettamente in linea con quanto già dichiarato nel corso di un interrogatorio della DDA, poche ore dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia. “Ho deciso di collaborare con la giustizia primo perché sono una persona perbene, secondo perché nella mia vita ho sempre lavorato e terzo per ripulire tutto quello che è stato detto sulla mia persona e chi stava con me. Ecco perché ho deciso di collaborare, di spiegare tutto e specificare tutto nei minimi dettagli, tutto quello che ho passato in questi anni”.
“Pasquale Ricucci, Matteo Lombardi e Pietro La Torre erano un’unica cosa – ha spiegato Tarzan -. Loro e Scarabino durante la settimana qualsiasi cosa loro volevano per casa loro. Dovevamo sottostare a tutto questo, parliamo di 400, 500, 600, 700, come capitava a settimana, dipende. Ci sono settimane anche di mille (euro) di pesce. Quantitativi, si, perché loro ne erano tanti, solo loro ne erano tre, poi a parte loro c’erano i ragazzi”. La pm: “Ma lo pagavano questo pesce?”. La Selva: “Mai. Glielo davamo perché avevamo paura”.
Il pesce veniva spedito anche in carcere: “A Matteo Lombardi tramite il figlio, lo facevamo sfilettato, lui faceva cucinare dai suoi parenti, da sua mamma, da sua moglie, non lo so, lo mettevano sottovuoto e lo mandavano al padre. Veniva proprio specificato che doveva andare dal padre e noi lo sfilettavamo, in più lo tagliavamo perché, stando in carcere, so per fare entrare il pesce in carcere come… mo l’ho capito, ecco perché lui chiedeva determinate cose”.
Riguardo a Scarabino, La Selva ha spiegato che l’azienda fu costretta a riconoscergli uno stipendio mensile di 1500 euro, oltre ai 2mila euro al mese di tangente al clan. “Se sbagli qualcosa ti faccio saltare tutto in aria”, le parole di Ricucci riferite in aula da La Selva. Se ne approfittava lo stesso Scarabino: “Comandava lui gli operai, gridava agli operai. In pratica io nel capannone ero come il titolare ma io non potevo neanche gridarlo, non potevo neanche dirgli… non potevo permettermi di rimproverarlo perché o veniva tardi, o non lavorava, o stava seduto. Ma il salario era sempre lo stesso”.
Tra i personaggi più ingombranti, sempre a parere di La Selva, c’era Michele Lombardi, figlio del boss Matteo. Il giovane entrò nel mondo ittico approfittando di un momento di difficoltà di un’azienda locale: “Tramite Alessandro Coccia. Siccome Alessandro Coccia all’epoca faceva l’operaio lì perché Alessandro Coccia è genero di una figlia di Colletta, vedendo la situazione che stavano per chiudere, fece la proposta a Lombardi e Lombardi accettò. Subentrò lui e in un mese neanche vidi che i Colletta furono cacciati e si presero l’azienda, poi costituirono una cooperativa intestata a Coccia, mi sa”. Negli anni Lombardi avrebbe costretto numerosi pescatori a conferire il pesce esclusivamente alla sua attività, mediante violenza e minacce: “I frutti di mare dovevano andare a lui da tutte le barche”, ha ricordato La Selva. Il più grande rammarico del pentito è uno solo: “Uno sbaglio ho fatto, che non ho denunciato a tutta questa gente”. (In alto, Lombardi, La Torre e Ricucci nel video dei carabinieri “Omnia Nostra”; sotto, Mario Scarabino; a destra, Antonio La Selva)
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