“In ordine alle notizie pubblicate, in relazione al quadruplice omicidio avvenuto in San Marco in Lamis il 9 agosto del 2017, la Procura distrettuale di Bari riafferma che, dagli elementi emersi nel processo, Luigi e Aurelio Luciani sono e rimangono Vittime innocenti di mafia”. Così il procuratore capo della DDA di Bari, Roberto Rossi ha commentato le parole del pentito Andrea Romano pubblicate ieri da l’Immediato.
I contadini Luciani vennero uccisi il 9 agosto 2017 nei pressi della vecchia stazione in disuso di San Marco in Lamis. Quel giorno fu una mattanza, quattro le vittime: il boss di Manfredonia, Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e, appunto, i due agricoltori sammarchesi.
Romano ha riferito quanto appreso in carcere dal boss foggiano Emiliano Francavilla, alleato dei Li Bergolis-Miucci-Lombardone. Stando al pentito, Francavilla gli avrebbe rivelato che i contadini “mantenevano le armi a Romito”. Un’affermazione sorprendente che ha scatenato numerose reazioni e la ferma risposta del procuratore Rossi.
Romano, i contatti in carcere e la scelta di pentirsi
Ma chi è Andrea Romano? Nato a Brindisi l’11 giugno 1986, viene definito dagli inquirenti “soggetto apicale dell’omonimo clan operante nella provincia di Brindisi”. Le sue dichiarazioni risalgono al marzo 2021 quando venne interrogato dal pm della DDA di Bari, Ettore Cardinali. Romano fu ascoltato nell’ambito di una serie di indagini sulla mafia garganica in quanto l’uomo aveva condiviso il carcere di Tolmezzo con Francavilla, mentre nel penitenziario di Voghera aveva conosciuto Matteo Lombardi e Liberantonio Azzarone, il primo a capo del clan di Manfredonia e Mattinata Lombardi-La Torre, il secondo con un ruolo di vertice nel clan Raduano di Vieste.
Romano ha riferito numerose informazioni all’Antimafia barese, parlando anche delle lettere tra Azzarone e il boss Raduano, quest’ultimo detenuto nel carcere di Badu ‘e Carros a Nuoro e delle conversazioni tra Azzarone e Lombardi nel cortile del penitenziario di Voghera.
La scelta di pentirsi, come ha spiegato al pm Cardinali, sarebbe sopraggiunta per “consentire ai suoi figli e alla sua famiglia di avere un futuro migliore. Nella legalità”. Ha anche parlato del suo ruolo nella mafia salentina: “Che carica avevo? La ‘Crociata’. Riconosciuta dai calabresi, a livello sopra ai padrini. Il cosiddetto ‘Benestà’. Il ‘Capobastone’. Un ruolo apicale nel clan Romano”. Queste le parole del collaboratore di giustizia nell’interrogatorio di marzo 2021.
La scheda
Romano ha deciso di collaborare con la giustizia nel dicembre 2020 nel bel mezzo di un processo per mafia, dopo la condanna all’ergastolo per un omicidio e un ferimento. È figlio d’arte – come riporta quotidianodipuglia.it -. Già da ragazzino fu protagonista di una serie di rapine. È stato uno dei primi detenuti in Italia a testare il braccialetto elettronico. La sua vita cambiò per sempre nel novembre 2014 quando era ai domiciliari, in piazza Raffaello, rione Sant’Elia. Scoppiò una lite, proprio il giorno di Ognissanti. La sera prima c’era stata una discussione durante una festa di Halloween. Romano sparò e uccise Cosimo Tedesco e ferì il figlio.
Dopo un periodo di latitanza venne rintracciato in un appartamento di San Vito dei Normanni. Aveva con sé un’arma, una Beretta calibro 9 corto con 6 colpi e matricola abrasa. Nel febbraio del 2020 fu arrestato in un blitz antimafia, operazione che certificò la sua “leadership” nella nuova malavita brindisina. Sta scontando l’ergastolo. (In foto, Rossi, i Luciani e il pentito Romano; sullo sfondo, la strage di agosto ’17)