‘C’erano tutti’, ‘C’eravamo tutti’. Queste le frasi ricorrenti sentite nelle varie interviste sulla giornata che ha visto la visita a Foggia del ministro dell’interno Luciana Lamorgese (in foto con il prefetto Esposito), alla presenza dei massimi vertici delle forze dell’ordine e del procuratore nazionale antimafia. Al ‘c’erano tutti’ fa da contraltare proprio il fatto che spesso, nella provincia di Foggia, non c’è quasi mai nessuno. Perché un certo scollamento tra centro del Paese e periferie esiste. Eccome se esiste.
Quattrocento misure cautelari, sequestri e confische di patrimoni per oltre 30 milioni di euro stanno a indicare la presenza di qualcosa che è andato ormai ben oltre lo Stato, quello ufficiale. Numeri pesanti, che lasciano vedere in modo più che evidente un sistema che nelle sue fondamenta non può non avere a che fare anche con i cinque scioglimenti per infiltrazioni mafiose di altrettante amministrazioni comunali, compresa quella del capoluogo.
‘C’è difficoltà di convincere le persone a denunciare per la paura’ ha detto il ministro. Non dimentichiamo mai, però, che questa paura è anche figlia dell’assenza di un sistema di protezione che questa paura dovrebbe accogliere, per non dire prevenire. Ma lì dove il cittadino è lasciato solo, spesso il coraggio si scioglie assai velocemente lasciando il passo a quell’istinto di autoconservazione che in molte aree depresse come quella foggiana la fa da padrone se vuoi salva la pelle (spesso letteralmente).
Qualcuno si è lasciato andare a critiche relativamente al fatto che ‘non basta la presenza’ del ministro dell’interno. Perché servono rinforzi, e non solo parole. Giusto. Ma la presenza dello Stato – ne è stato fulgido testimone per l’intero settennato il Presidente Mattarella – non è mai solo questione di forma. E la tenuta stessa del Sistema Paese si misura anche in base a quanto questo riesce a essere fisicamente presente sul territorio. Certo, dopo il comitato per la sicurezza e la conferenza stampa dovranno arrivare i fatti. E vedremo quali saranno. Ma i distinguo alla Nanni Moretti (mi si nota di più se… o se…) di cui i politici italiani sono ormai dei veri maestri non sono più accettabili. Soprattutto lì dove la politica ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare!
Lo scorso 25 ottobre, davanti alla Consulta Provinciale della Legalità, il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano – forse in un goffo tentativo di stemperare il clima ingenerato da alcuni interventi che richiamavano ai fatti locali in modo dichiaratamente drammatico (quello del sottoscritto compreso) – aveva replicato che tutto sommato a Reggio Emilia non stanno tanto meglio, e che a voler ben vedere ci sarebbero stati gli estremi anche per sciogliere l’amministrazione comunale capitolina, ‘Ma immaginate cosa sarebbe successo’ aveva detto. Quasi che ci siano realtà del Paese che ci possiamo permettere di travolgere – come sono state travolte Foggia, Manfredonia, Cerignola, Mattinata e Monte Sant’Angelo – e altre no. Forse si poteva dire meglio, perché non è che ‘mal comune mezzo gaudio’ sia molto d’aiuto.
In tutto questo chiediamoci piuttosto dov’è finita la politica? E come questa dovrebbe comportarsi, dopo i tonfi clamorosi degli ultimi anni, per riguadagnare la fiducia dei cittadini. Certamente attraverso la formazione di una classe dirigente nuova, non solo moralmente idonea ma anche competente. Foggia e la Capitanata devono mettersi alla ricerca di stimoli nuovi e anche, perché no, di simboli da mettere in campo in vista di un 2023 che vedrà rinnovato non solo il Parlamento ma si spera anche l’amministrazione della città capoluogo.
La passerella di Stato era doverosa. Ora nessuno starà lì a fare sconti. Qualcosa deve cambiare e subito. Ma la politica cambi passo rapidamente perché non c’è davvero più tempo. (di Gennaro Pesante, giornalista, componente della Consulta Provinciale della Legalità)