“È giunta la notizia che il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, ha deliberato lo scioglimento del Consiglio comunale di Foggia per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. Non è il caso di applaudire o di recriminare nei confronti di tale decisione, adottata secondo precisi requisiti di legge, ma di prendere atto di quanto le vicende della nostra città siano state condizionate dalla presenza mafiosa”. Lo dice Dimitri Lioi, presidente dell’associazione antimafia “Giovanni Panunzio”, realtà intitolata all’imprenditore ucciso dai clan nel 1992 per non essersi piegato.
“È evidente a chiunque – continua Lioi – che il profondo decadimento politico, sociale, economico e culturale che la città di Foggia sta conoscendo da decenni, nonostante fermenti ricchissimi e unici a livello nazionale, sia stato determinato in gran parte dall’affermarsi preponderante di una mafia violenta, predatoria e di robusto spessore criminale (al contrario di quanto certuni pensano), perché i due fenomeni coincidono e si sovrappongono temporalmente e a livello causale, e perché la mafia foggiana ha invaso i gangli vitali della città grazie all’apporto essenziale di una pericolosa e potente borghesia mafiosa e all’appoggio di fasce cittadine omertose, se non conniventi a tutti gli effetti.
Nonostante l’azione di repressione penale degli ultimi anni – prosegue -, la mafia a Foggia è ancora oggi potente e lo è in quanto essa trae una generosa linfa vitale da consorterie più o meno riservate e da una consistente parte dei tessuti egemoni, economici e sociali della città: di questo dobbiamo prendere atto nel senso più pieno, se vogliamo che la decisione assunta a Roma sia foriera di un avvio decisivo per la sconfitta della mafia nel nostro territorio.
Non esistono soluzioni facili o pronte all’uso, occorre analizzare a fondo e con coraggio e poi agire con decisione e radicalità. A cominciare dal fatto che la mafia foggiana non è solo una mafia di appalti, droga e racket, ma è essenzialmente una mafia di potere.
Alla classe politica, ai partiti, a tutti i partiti, non si chiedono tanto nomi nuovi, ma nuove prassi, ricominciando tutte e tutti da zero.
Ai ceti egemoni, dirigenziali, imprenditoriali, professionali e intellettuali non compromessi con la mafia e la corruzione chiediamo quella generosità e quel coraggio che fino ad oggi sono troppe volte mancati, anche lasciando sole e soli coloro che le piaghe della violenza mafiosa le hanno vissute sulla propria pelle, doloranti e sanguinanti ancora oggi”.
E ancora: “Alle cittadine e ai cittadini chiediamo impegno e partecipazione, che fino ad oggi sono stati sin troppo labili: la pratica della legalità e della convivenza etica e civile devono essere questioni quotidiane, non semplici vessilli da vestire alla bisogna per zittire chi non la pensa come noi. Occorre riscoprire il gusto e la sostanza del bene comune, sfasciato da una buona parte del ceto egemone cittadino, rapace, incolto, predatorio e cieco di fronte ai bisogni della città.
La responsabilità di tutto questo appartiene anche a chi ha voltato le spalle dall’altra parte, a chi ha lasciato fare, a chi ha venduto il proprio voto tradendo gravemente il patto di convivenza democratica, a chi ha cercato raccomandazioni, malaffare per facili guadagni, a chi ha scelto l’illegalità come pervicace bandiera del proprio egoismo sociale: siete anche voi sporchi del sangue innocente riversato sulla nostra città, sappiatelo.
Nessuno deve sentirsi estraneo, però: occorre un’assunzione collettiva di responsabilità per tirar fuori Foggia dalla melma mafiosa. Occorre ricominciare come se fosse la prima volta, salvaguardando certamente le molte cose buone che abbiamo già con noi, consapevoli che Foggia ha sufficienti energie e potenzialità per poterlo fare, ma occorre anche volerlo e saperlo fare.
Noi, come Associazione intitolata a Giovanni Panunzio, in queste settimane, tra le altre cose, ci siamo costituiti quale parte civile in un processo (“Grande Carro”, ndr) che vede tra gli imputati l’esecutore materiale dell’omicidio di Panunzio (Donato Delli Carri, capo cosca del gruppo omonimo, contiguo alla batteria Sinesi-Francavilla, ndr).
I capi di imputazione dovranno essere vagliati dai Giudici con sentenza definitiva, ma le ipotesi di accusa sono inquietanti: l’omicida di Panunzio, fin dalla sua scarcerazione, sarebbe stato tra i promotori e gli organizzatori di un’intensa attività di natura mafiosa in Capitanata.
Ci si chiede, se ciò verrà confermato in sede di processo, come sia stato possibile che, nonostante la lunga detenzione in carcere, lontano da Foggia, questo soggetto abbia acquisito una caratura criminale di tal fatta. Chi lo avrebbe reso possibile, chi l’avrebbe appoggiato e secondo quale scambio scellerato? E ancora: cosa è davvero la mafia nella nostra città, quali legami duraturi nel tempo non sono mai stati spezzati? Chi li salvaguarda da così lontano, dalla tragica Foggia degli anni ’90?
E perché, quanto all’omicidio di Giovanni Panunzio, sono stati condannati i suoi estorsori, ma il suo esecutore materiale è stato condannato in concorso con soggetti mafiosi rimasti ignoti? Perché questo è accaduto, nonostante l’ampia collaborazione fornita da subito dallo stesso imprenditore, ucciso da un componente delle batterie mafiose per essersi ribellato alla mafia Ecco, anche rispondendo a queste domande si farebbe un deciso salto in avanti rispetto alla corretta ricostruzione della storia della mafia in città e all’individuazione dei migliori strumenti per liberarsene per sempre”. (In alto, Dimitri Lioi, Giovanni Panunzio, Roberto Sinesi e Donato Delli Carri)