“Ci sono state parcelle di un avvocato pagate con la droga”. La frase choc è del pentito barese Michele Oreste (ex affiliato al clan Capriati) rivelata alla DDA di Bari almeno due anni fa ed ora finita nell’inchiesta sugli arresti del giudice Giuseppe De Benedictis e dell’avvocato Giancarlo Chiariello. Lo riporta Repubblica Bari.
Al momento l’indagine, basata su una serie di presunte “scarcerazioni facili” decise dopo il pagamento di tangenti, coinvolge il magistrato molfettese, il legale barese ma anche un pregiudicato del calibro di Danilo Della Malva, uomo del clan Raduano di Vieste che ha deciso di collaborare con la giustizia poche settimane fa. Sotto inchiesta ci sono inoltre Alberto Chiariello (figlio di Giancarlo) e la collaboratrice Marianna Casadibari. Completano il quadro i nomi di Roberto Dello Russo, Antonio Ippedico, Michele Pio Gianquitto, Matteo Della Malva, Valeria Gala.
Della Malva avrebbe versato 30mila euro per ottenere i domiciliari. Ombre anche sui foggiani Ippedico e Gianquitto, entrambi coinvolti nel blitz antimafia “Grande Carro”, sospettati di appartenere alla cosca Delli Carri, costola della batteria Sinesi-Francavilla della “Società Foggiana”. Anche loro avrebbero usufruito del “sistema De Benedictis”.
Intanto, i difensori degli 11 indagati – scrive Repubblica – hanno chiesto alla Procura della Repubblica salentina le copie degli atti depositati e si apprestano a studiarli prima di decidere se presentare memorie o chiedere interrogatori. Del fascicolo fanno parte anche i verbali di quattro pentiti: Domenico Milella (ex braccio destro del boss di Japigia Eugenio Palermiti), Michele Oreste, Matteo Tulimiero e Vito De Felice.
Gli ultimi due – ricorda Repubblica Bari – avevano raccontato già una decina di anni fa che a Bari esisteva un sistema in base al quale alcuni avvocati riuscivano a ottenere provvedimenti favorevoli da giudici con cui erano in buoni rapporti e che in certi casi tali decisioni venivano pagate. Avevano fatto il nome di De Benedictis e di ulteriori magistrati in servizio in altri uffici, ma dalle loro dichiarazioni non era scaturita alcuna indagine. Diversamente sono andate le cose quando storie simili sono state raccontate da Milella e da Orefice, i cui verbali sono stati acquisiti dalla Procura di Lecce perché ritenuti attinenti agli atti di presunta corruzione avvenuti negli uffici giudiziari di Bari.
Entrambi i collaboratori hanno illustrato episodi sconcertanti quanto circostanziati – si legge ancora su Repubblica Bari -, Oreste ancor più di Milella, sia nel memoriale depositato nell’ottobre 2019 sia nell’interrogatorio a dicembre dello stesso anno, davanti all’allora pm Renato Nitti (oggi procuratore di Trani). Il pentito 49enne ha spiegato di essere soprannominato “l’avvocato”, perché per anni aveva lavorato in uno studio legale.
Per un penalista — a suo dire — avrebbe lavorato anche Vito Martiradonna (detto ‘Vitino l’Enèl’, considerato prima il cassiere dei Capriati e poi il re delle sale slot), con il ruolo di autista. Dichiarazioni tutte da verificare, naturalmente, così come quelle, gravissime, sulla consegna di una partita di stupefacenti a un avvocato, che sarebbe avvenuta nel 2018 nei pressi di piazza Garibaldi.
Consegna effettuata “per conto di Tommy Parisi (figlio di Savinuccio, il boss del quartiere Japigia) come favore a Francesco e Vito Martiradonna, come una parte della parcella dello stesso avvocato”, ha spiegato. Una prassi non isolata, a detta di Oreste: “Pare che spesso i Martiradonna, con l’aiuto di Tommaso, pagassero le parcelle anche con quantitativi di cocaina”.
Su un pagamento specifico il collaboratore ha fatto un racconto molto preciso, affermando di averlo effettuato di persona: “La consegna è avvenuta a settembre 2018, su ordine di Tommaso Parisi. Lo stupefacente mi fu consegnato in via De Rossi in due borsoni, nel pomeriggio andai a piedi in via… dove c’è una banca ad angolo. Prima di consegnare sono andato in un bar e ho controllato il borsone: dentro c’erano 25 panetti di cocaina purissima. Poi l’ho consegnata all’avvocato, lui mi ha chiesto se doveva dare qualcosa e io ho detto: ‘Non devi dare niente, te la vedi direttamente con Vito Martiradonna'”.
“Poi mi ha chiesto: ‘Ma la prossima volta vieni anche tu a consegnare? — ha proseguito il pentito —. Perché l’altra volta c’è stata un’altra persona’. Io gli ho detto: ‘Guarda, non lo so. Dipende da quello che mi dicono’. Poi sono tornato alle spalle di via Andrea da Bari, dove c’era il punto di ritrovo di Martiradonna, e ho detto a quello che me l’aveva data che avevo fatto l’operazione”. Alle specifiche domande del pm sulla possibilità che tale cessione non fosse un caso isolato, Oreste aveva ribadito: “Loro molto spesso, non avendo i capitali che stanno fuori, oppure non avendoli pronti in cassa, avevano lo stupefacente e pagavano con lo stupefacente. Per loro era molto comodo fare così”.
Nel verbale di Oreste sono state affrontate anche altre questioni ma sono state coperte da omissis, a dimostrazione della delicatezza degli argomenti trattati. E a voler ulteriormente ribadire tale delicatezza, il pm barese Federico Perrone Capano, nell’inviare il verbale ai colleghi di Lecce nel febbraio scorso – conclude l’articolo di Repubblica Bari -, ha rimarcato come l’atto fosse all’epoca coperto da segreto. A consentirne la discovery è stato il deposito degli atti del fascicolo De Benedictis, anche se a quanto pare l’ex giudice ne aveva avuto cognizione molto prima di essere arrestato.