Un grande campus in Fiera e una serie di nuovi corsi per ripartire. Infrastrutture e capitale umano per rilanciare Foggia. Nell’ultimo incontro con il ministro per il Sud Mara Carfagna, assieme ad una trentina di rettori italiani, c’era anche Pierpaolo Limone a ragionare sul progetto di rilancio del Mezzogiorno. Sul piatto ci sono le risorse del Recovery fund e l’ateneo dauno vuole essere il cardine della “migliore chance” per la città. Il più giovane rettore d’Italia spiega il piano già inserito nella lista di priorità della Regione Puglia. E le criticità da risolvere per snellire la macchina della pubblica amministrazione e dotare le tecnostruttura, la cui media d’età sfiora i 55 anni, di competenze adeguate per le sfide del futuro.
Rettore, sta partecipando a tutte le tappe per la pianificazione del Piano di rilancio e resilienza. Una sfida decisiva soprattutto per il Mezzogiorno. Che partita si gioca la Capitanata e l’Università di Foggia?
I due temi principali sono la crisi dell’industria e l’impoverimento di competenze nella Pubblica amministrazione. L’università ha un ruolo centrale. In una fase di crisi dei corpi intermedi, non ci sono interlocutori altri per produrre capitale umano e creare le condizioni di attrattività per gli investimenti nei territori del Sud. L’idea è quella di catalizzare e alimentare il processo di formazione delle nuove competenze.
Un impegno che gli atenei già portano avanti da tempo, provando a centrare gli obiettivi della terza missione. Qual è la novità?
Sì, è vero, fa parte della nostra mission, ma siamo molto isolati. Lavoriamo controcorrente perché il governo non premia questo tipo di attività. Non ci sono regole che favoriscano la collaborazione tra gli atenei e l’integrazione con le Pubbliche amministrazioni. Anzi, tutte le regole per il finanziamento delle università favorisce la competizione, il modello di funzionamento che deriva dalla Riforma Gelmini ci considera come aziende in competizione nei diversi territori: questo favorisce chi è già forte, ovvero le realtà del Nord.
Come si può recuperare il gap?
Puntando su infrastrutture e processi più snelli: non possiamo avere tempi lunghi come è accaduto finora nelle pubbliche amministrazioni. È inammissibile, per esempio, dover attendere un anno per assumere un ricercatore…
A Foggia le difficoltà sembrano più evidenti, il sistema produttivo appare poco ricettivo o comunque debole. Ci sono idee capaci di invertire la rotta e di far decollare il processo di costruzione e valorizzazione del capitale umano?
Noi lavoriamo con tanti progetti, centinaia. Il problema è che sono pulviscolari, sono iniziative che generano un micro impatto. Per generare un influsso di sistema serve un raccordo con le politiche nazionali. Per comprenderci, una multinazionale come la Apple, che crea campus dentro l’università di Napoli Federico II, ha bisogno di regole speciali per poter operare, sennò se ne va dopo 3 giorni.
Su cosa dovrà puntare il territorio per il Recovery?
Innanzitutto un’attenzione, come ha detto il premier Draghi, per i giovani e per le donne del Mezzogiorno. Altrimenti daremo il colpo d’ascia definitivo ad un segmento fondamentale per ogni politica di sviluppo. Tutto questo deve passare dalla formazione, che va incentivata per esempio con dei voucher per accedere all’università oppure con una ‘no tax area’ che permetta l’iscrizione gratuita, perché mai come in questo periodo siamo l’unica possibilità di mobilità sociale in un territorio come questo. Il problema successivo è la creazione di condizioni idonee per l’ingresso di queste persone nel mercato del lavoro e nella Pubblica amministrazione, con nuove competenze acquisite.
Cosa serve per creare profili davvero innovativi per una PA che ora ha una media di età che sfiora i 55 anni?
Non serve solo la lista dei titoli, serve avere anche competenze di diverso genere, digitali e nelle lingue. Noi possiamo permettere questo percorso, perché abbiamo l’opportunità di far girare il mondo ai nostri studenti. Poi bisogna garantire determinati servizi e spazi adeguati per la formazione. Attualmente non abbiamo grandi disponibilità in questo senso. Quando usciremo dall’emergenza dovremmo essere capaci di accogliere al meglio gli studenti, con strutture e servizi. L’emergenza Covid purtroppo ci fa assistere a situazioni paradossali, per cui ci ritroviamo con studenti della magistrale che, iscritti a novembre, si ritroveranno a laurearsi senza aver mai messo piede nell’Ateneo, non proprio uno scenario idilliaco per una università pubblica.
Un po’ come accade in alcune università private e online…
Io non sono contrario all’online, anzi, però serve poter distinguere e valutare la qualità di offerta e servizi. Per fare tutto questo servono le infrastrutture. Rispetto ad altri atenei già antichi, noi siamo carenti proprio nelle strutture necessarie alle attività.
Cosa serve come il pane all’Unifg per colmare queste lacune?
Spazi per almeno 60mila metri quadrati. Stiamo ragionando su due progetti strategici: il polo della Fiera e l’acquisizione della caserma ‘Miale’. Noi non abbiamo le risorse, potremmo arrivarci solo con il Recovery o con investimenti regionali o nazionali. Stiamo attivando nuovi corsi di studio, abbiamo la necessità di recuperare aule per gli studenti, attualmente insufficienti, e non solo. Poi servono stanze docenti, laboratori, aree per il coworking e per gli incubatori d’impresa. Questi sono elementi che fanno la differenza. Se ci mettiamo in competizione su questo con le università del Nord non siamo competitivi.
Quanti soldi servirebbero?
Circa 150 milioni di euro. Nell’area Fiera, con i campi Diomedei, riusciremmo a realizzare un vero e proprio campus urbano. La Regione Puglia ha inserito le due proposte nel piano per il Recovery, che ha circa 160 progetti. Non riesco ad immaginare una chance migliore per la città, non solo per noi. Se cresciamo noi, due volte di più cresce la città. Basti immaginare solo l’indotto attivato dalla crescita degli studenti, che fanno venire persone da fuori e aziende all’interno del campus.
Anche dal punto di vista urbanistico la città si sta trasformando e caratterizzando. Può essere l’occasione per ragionare su una identità diversa a partire proprio da questi nuovi poli?
Certo. Lo sviluppo del Policlinico ne è un esempio concreto. A questo si affiancano l’area umanistica di via Arpi e il polo della Fiera, dove dovrebbero confluire l’area giuridica, economica, agraria, ingegneria e scienze motorie. Stiamo lavorando anche alla costruzione di un hub per i percorsi post laurea, che permetterà la formazione specialistica in azienda. Se ad esempio Leonardo dovesse chiederci ingegneri specializzati su determinate attività, dovremo essere in grado di formarli in azienda con il supporto dei nostri docenti.
Il Covid ha modificato le scelte degli studenti? C’è un ritorno a casa anche per i fuori sede?
Innanzitutto bisogna dire che un terzo degli studenti abbandona al primo anno, ma da altre parti la percentuale è molto più alta. Molti altri, invece, non proseguono gli studi dopo il liceo. Ma il dato di rilievo, quest’anno, è l’incremento del 33 per cento le immatricolazioni, un dato mai registrato. Il trend va avanti da circa un quinquennio, ma questo scarto non lo abbiamo mai avuto: parliamo di più di 1000 persone. Adesso l’Università di Foggia ha più di 4mila immatricolati.
Con l’attivazione dei nuovi corsi prevista a breve vi aspettate di crescere ancora?
Mantenere questi numeri sarebbe già un gran risultato.