Sprezzanti del pericolo e pronti anche al carcere. Questo e molto altro nelle 176 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Patrizia Famà che ha ricostruito le tappe dell’operazione “Destino”. Cinque arresti per la tragica rapina del 17 settembre 2020 nel bar “Gocce di Caffè” di via Guido Dorso a Foggia, costata la vita al 38enne Francesco Paolo Traiano. Manette ai polsi per Antonio Bernardo, 24 anni alias “u stagnr”, Christian Consalvo, 21 anni detto “pallina””, Antonio Tufo, 21 anni “u giall”, Simone Pio Amorico, 22 anni e il minorenne A.C., 17 anni.
Traiano, stando a quanto scritto dal giudice, fu “colpito da varie coltellate sferrate dal minorenne, una delle quali attingeva la persona offesa al volto – si legge –, nella regione perioculare, facendola cadere rovinosamente al suolo e nell’infierire, Bernardo e il minorenne, ulteriormente sulla stessa, colpendola con ripetuti calci, si impossessavano di una somma imprecisata di denaro, prelevandola dal registratore di cassa e di alcuni biglietti ‘Gratta e Vinci’“. Contrariamente a quanto riportato nei mesi scorsi, il bottino della rapina non è mai stato quantificato; solo Traiano ne conosceva l’ammontare. Ma di certo i rapinatori si impossessarono di una cifra ben superiore ai 100 euro di cui si parlava. Tanto che i malviventi, successivamente al colpo, progettarono viaggi e nuovi tatuaggi. “Intorno a questa vicenda c’è il mondo dello spaccio di droga”, ha riferito il questore Paolo Sirna durante la conferenza stampa sugli arresti.
Tutti sapevano
Ma l’ordinanza “Destino” racconta soprattutto il velo di omertà dietro tutta questa storia. Fidanzate, famiglie e amici dei rapinatori sapevano tutto ma non hanno mai segnalato la vicenda agli organi inquirenti. Durante una captazione ambientale spunta una conversazione tra i genitori di uno degli arrestati. La donna chiese al marito chi materialmente aveva commesso l’omicidio: “Io non l’ho ancora capito, ma chi è quello cheeeee ha fatto il servizio?”, il marito le rispose: “A. (riferendosi ad A.C.)”, quindi la moglie commentò: “Aaaaah eccolo, A.! Il bruno! Quello che veniva sempre con lo scooterino!”.
Simone Amorico e la fidanzata, successivamente all’escussione presso la squadra mobile che nel frattempo aveva iniziato a convocare i sospettati per i primi interrogatori, si fermarono a conversare tra loro lo scorso 1 dicembre. “In tale circostanza – riporta l’ordinanza – Amorico riferisce di aver commesso qualcosa di sbagliato, in riferimento alle indagini conseguenti ai fatti relativi al 17 settembre (giorno della rapina, ndr). In particolare, Amorico, dopo essere sceso dall’autovettura, convinto che a bordo della stessa vi siano microfoni, ammette il proprio coinvolgimento in una non meglio specificata vicenda. Testualmente, Amorico: ‘Oramai… È capitato. Si sbaglia nella vita… Mannaggia a te (i due si baciano)’“.
I giudici evidenziano “la reale ragione posta a fondamento delle azioni dell’Amorico e cioè – si legge nelle carte – il desiderio di denaro, ma non perché ne avesse realmente bisogno, ma semplicemente in quanto ‘…vol semp di chiù (si vuole sempre di più)’”.
Le intercettazioni in questura
Convocati dalla polizia durante le indagini, Tufo e Bernardo vennero intercettati in sala d’attesa. Bernardo: “Sanno tutte le cose!”. “Poi – riporta il giudice -, con riferimento alla possibilità di effettuare delle spontanee dichiarazioni, il Tufo, rendendo affermazioni autoaccusatorie, afferma che anche qualora dicesse che il ruolo da lui ricoperto nella rapina sia stato quello di essere rimasto davanti alla porta dell’esercizio commerciale (ruolo corrispondente a quello ricostruito dagli inquirenti), comunque, trattandosi di un omicidio, prenderebbe 30 anni di carcere. ‘Se dico… se dico… sono io quello davanti alla porta… ti danno 30 anni’“.
“Tufo aggiunge che una volta che sarà di nuovo libero, fossero passati anche 20 anni, ‘ribella Foggia'”. E si sfoga: “Compare… che ce ne frega a noi ‘stagnr’, che ti devo dire… io non ci voglio pensare al futuro, non ci penso più, non me ne frega niente… l’ho detto già l’altro giorno, me ne frego proprio grandemente!… Nella vita si rischia e si gode… devo stare chiuso 20 anni, che devo fare mo’ che esco, il pingone?… senza un euro… la ribello Foggia quando esco!”.
In questura venne intercettato anche il minorenne, convocato in un’altra occasione insieme ad altro giovane non indagato. F.: “Ma mica ci dobbiamo fare la giornata qua?”. Il minorenne: “Hai capito che ti devi fare 26 anni!”. F.: “In carcere, a noi minorenni ci (incomprensibile)… un terzo della pena…”.
Viaggi e tatuaggi
Con il denaro racimolato, i rapinatori progettavano viaggi e pensavano a nuovi tatuaggi. Il minorenne A.C. e la fidanzata parlavano così dei soldi della rapina. La ragazza: “Non si può sapere cosa hai fatto con quei soldi?”. A.C.: “Me li sono mangiati… 150 in vacanza e 350 uscire ste cose qua”. Ragazza: “E po?… Quando non stavi con me te li sei mangiati”. A.C.: “Eh”. Ragazza: “Vai a disdire il tatuaggio e fattelo verso Natale che mo devi pensare ad altro”. La fidanzata invitava il compagno a togliersi alcuni debiti: “Fino al 5 me li tolgo tutti, mancano 23 giorni. Evogl (hai voglia)”. Ragazza: “Poi pure il tatuaggio, te lo dico da mo, tu stai avvisato, sappilo, e scema non sono. Non pioveranno dal cielo 1300 euro in 25 giorni”. A.C.: “Diventa scema per un po’ che sennò murem d fom (altrimenti moriamo di fame)”.
Parentele di “spicco”
Tra gli indagati spuntano anche giovani imparentati con volti noti della criminalità organizzata foggiana. Antonio Bernardo è infatti nipote dell’omonimo Antonio Bernardo detto “lo zio”, ucciso nei pressi di San Ciro nel 2008, ammazzato nell’ambito di una guerra di mafia tesa anche all’epurazione della vecchia “classe dirigente” della “Società Foggiana”. In quest’ottica vennero inquadrati gli omicidi di personaggi del calibro di Franco Spiritoso (18 giugno 2007), dello stesso Bernardo (27 settembre 2008), Michele Mansueto (24 giugno 2011) e Giosuè Rizzi (10 gennaio 2012). Insomma, il nonno dell’arrestato, identificato in passato anche come uno dei “cassieri” della malavita foggiana, era un personaggio che contava nelle logiche delinquenziali della città.
Nell’ordinanza sono presenti alcuni riferimenti alla famiglia del minorenne, al centro di una conversazione captata tra due amici degli indagati, a dimostrazione del fatto che in tanti sapevano del coinvolgimento dei cinque nella rapina al bar. Per il 17enne si prospettava un trattamento “privilegiato” in caso di detenzione in carcere per via delle sue parentele. Questo il passaggio dell’ordinanza con uno stralcio dell’intercettazione tra una coppia di amici degli arrestati: “Viene visto un po’ diversamente perché c’ha gli zii e cos… (fa riferimento a Fabio e Franco Tizzano, zii materni del minorenne)… Viene accolto un poco più diversamente”.
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