“Il Covid-19 non esiste? Non è pericoloso? Tanto non lo prendo. Io sto sempre attento; sì, io. Ma gli altri?”. Inizia così il racconto di Severino Rendinella, 69enne foggiano, che a l’Immediato racconta la sua esperienza con il virus e il ricovero al Policlinico Riuniti di Foggia. “Era attorno al 10 di dicembre quando notavo che nel mio corpo qualcosa non andava. Un paio di giorni e fu l’inizio di un incubo; sì, un incubo. Uno di quegli incubi che grazie ai medici e agli infermieri dei reparti reumatologia covid, rianimazione covid ed ex cardiologia ho vissuto con la consapevolezza di potercela fare. Sì, perché in quei reparti affrontano il lavoro come se avessero a che fare con i propri figli ed io, per loro, sono stato un “figlio”. Mi hanno letteralmente strappato alla morte e mentre scrivo ‘morte’, non scherzo! Una settimana intubato, una settimana durante la qual il mio corpo era vivo ma la mia mente assente. Loro, con l’amore per il proprio lavoro e verso i pazienti, a distanza di un mese mi hanno rimesso in piedi e mi hanno ridonato la vita! Un grazie di cuore da parte mia”.