Stamattina la squadra mobile di Foggia e il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria – G.I.C.O. di Bari, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza, hanno eseguito un ordine di carcerazione, emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari, nei confronti di Vincenzo Antonio Pellegrino, alias “Capantica” (foto sopra), classe 1952, storico capo della batteria mafiosa della Società Foggiana, “Moretti-Pellegrino-Lanza”, condannato a scontare la pena residua di 6 anni, 7 mesi e 26 giorni di reclusione; Gianluca Ruggiero, classe 1980, fiduciario del boss Pellegrino, condannato a scontare la pena residua di 3 anni e 6 mesi e Gabriella Capuano, classe 1975, fiduciaria del boss Emiliano Francavilla, condannata a scontare la pena residua di 3 anni, un mese e 15 giorni di reclusione. Come anticipato da l’Immediato, pochi giorni fa sono diventate definitive le condanne per i tre imputati nell’ambito del processo “Rodolfo” contro il sistema di estorsioni della mafia foggiana.
Ed oggi ecco l’epilogo. Carcere per gli imputati, al termine “di complesse investigazioni” – si legge in una nota stampa congiunta di polizia e finanza. “Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, in esito alle quali il G.I.C.O. di Bari e la mobile di Foggia, il 4 aprile 2016, eseguirono un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal gip del Tribunale di Bari nei confronti di 11 soggetti intranei/contigui alle ‘batterie’ mafiose della Società Foggiana Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla, perché gravemente indiziati della commissione di condotte estorsive aggravate dal metodo mafioso”.
Eseguito, inoltre, unitamente allo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di beni immobili e mobili nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo stimato di oltre 700.000 euro.
“In particolare – riportano gli inquirenti nella nota -, le articolate attività investigative hanno permesso di accertare e documentare come le due batterie mafiose abbiano assoggettato ad estorsione, con metodo mafioso, imprenditori operanti nell’indotto (servizi e logistica) di un settore strategico per l’economia dauna, quale quello della produzione e trasformazione alimentare dei prodotti dell’agricoltura.
Le estorsioni riscontrate, per le quali i personaggi condannati in via definitiva hanno svolto un ruolo di primo piano, hanno riguardato non solo la forzata elargizione mensile di somme di denaro a vantaggio dei “vertici” delle cosche, ma anche l’assunzione di soggetti “vicini” alle compagini malavitose che – pur percependo regolarmente lo stipendio mensile – non svolgevano, di fatto, alcuna attività lavorativa”.