Durante il lockdown, per due mesi interi, una giovane ambientalista molisana foggiana d’adozione, Lucia Urbano, ogni mattina all’ alba, ha fotografato Foggia nella sua bellezza, nel suo verde, rigoglioso e curato con attenzione da netturbini e giardinieri e operatori ecologici, nei suoi vicoli, nella sua eloquente e a volte nascosta bellezza storica.
“Mi sono accorta della bellezza di Foggia, dei suoi tanti scorci storici. Ripercorrendo in questi ultimi dieci giorni la stessa strada, che conosco a memoria dal suo primo bocciolo nato al fiorire delle rose, ho fotografato e visto lo scempio comportamentale che non ha giustificazioni”.
Lucia ha documentato il passaggio dalla natura rispettata dei mesi di blocco a quella deturpata oggi, in fase 2. “Ho scattato foto e registrato video per inviare un appello al sindaco Franco Landella affinché intervenga con una delibera che sanzioni con delle multe di 400 euro le persone che producono spazzatura ed inciviltà negli spazi pubblici che sono bene comune, e non loro proprietà privata”. L’attivista ha anche scritto un mini diario dalla quarantena, che per lei è stata una scoperta della natura e del creato in piena visione urbana, con la città vuota.
Ecco le sue emozioni.
Da alcuni giorni, soffocata dalla reclusione conseguente all’ epidemia di Corona Virus, (iniziata con il lockdown dal 7 marzo al 4 maggio) ho deciso di uscire all’ alba, ogni mattina, per prendere aria e per assaporare il gusto di una libertà tutta mia, seppure circoscritta in uno spazio tempo da carcere.
Ogni sera, per due mesi esatti, ho vissuto l’attesa di quell’alba come un bambino aspetta il suo primo giocattolo, con entusiasmo, con amore, e poi ancora con senso di sfida, con curiosità e con quella gioia che mi dilatava il diaframma al suono della sveglia alle 5.45 (dell’ora legale).
E così, abbigliata a mo’ di astronauta, con guanti e mascherina doppia, iniziavo le mie giornate di Quarantena, circoscritta a 200 metri dal mio domicilio (a volte un po’ di più nascosta tra i vicoli del centro storico) e iniziavo la mia corsetta saltellando come una fuggiasca consapevole della innocente trasgressione del metro in più percorso. La sensazione che tutti gli spazi fossero solo i miei, la sospensione del sogno e l’inizio di un pensiero che si schiudeva da solo nell’ anima come un bocciolo ed io non facevo altro che ascoltarmi ed ascoltare l’ attorno silente e sorridente di una città riposata e pulita, che mi conduceva tra mille visioni e fantasie, spesso rievocando la realtà e la cinematografia degli anni 50- 60 , quando i rapporti tra vicini erano intrisi ancora di rispetto ed umanità e si poteva uscire di casa lasciando la porta aperta, quando le automobili ( America a parte ) erano poche ed il consumismo non si era ancora appropriato delle menti umane e si viveva secondo riti e tradizioni ancora tutti italiani
I pochi fruttivendoli aperti alle 7 che arrostivano i peperoni da vendere, le loro voci e i dialetti, l’assenza totale di macchine ed inquinamento , l’ aria pulita e tersa , la brina sui prati, il primo fiore sbocciato, il sole che nasceva ogni giorno con un colore diverso a colorare il cielo di azzurri, di verdi, di grigi ed aranci; ora una nuvola, ora una pennellata di indaco, ora di blu, ora di grigio, in un Panta rei primordiale che mi nutriva di energia e di vita, proprio quella vita che troppe persone stavano perdendo in quei giorni tragici vittime dell’ epidemia ed io lo sapevo dentro di me ed avevo paura di questo scenario da Armageddon!
Cosi cercavo la vita in tutte le più piccole cose, mi ci sono aggrappata a denti serrati, come uno scalatore sulla cima del monte, quando sta per raggiungere la vetta. Ogni piccola cosa rappresentava tanto, persino i tetti delle vecchie case, con le oro antenne demodè al vento, là, nei vecchi rioni popolari tra ruggini e monplain, tra cementi, ruderi rurali, ora un fiore, ora un colore, ora un bucato steso nella viuzza, ora il saluto sospettoso ma sincero di qualche abitante recluso in quarantena che si chiedeva chi fossi vestita come una rapinatrice rom.
E poi l’amicizia a distanza con tutti i netturbini, i servizi di pulizia del verde e delle fontane del centro della città immancabile l’appuntamento al saluto solidale in una città ormai totalmente vuota.
Quel buongiorno urlato al camion dei netturbini è stata la mia fonte di relazione umana unica della Quarantena, vissuta improrogabilmente in una città che non è la mia e che non avevo mai guardato con gli occhi della meraviglia fino a qualche giorno prima…di colpo l ‘ ho guardata, l ‘ ho scoperta nella sua nudità, felice! In silente posa e sorridente, come una modella rinascimentale, candida. Privata del rumore dei passi dei suoi abitanti, del tic tac dei tacchi delle donne, delle urla dei bambini, dei vecchietti …della sporcizia che chi non la ama produce, ma fiera di se stessa e delle sue pietre, ora antiche, ora no, di quelle sopravvissute al terremoto del diciottesimo secolo e delle nuove, le medievali dei palazzi federiciani come i mattoni rossi di INA CASA (per me romanticismo popolare edilizio) ma che, all’ unisono, narrano e cantano la storia di questo luogo.
E’ per me una percezione nuova, che mi dona sensazioni di armonia paradossalmente proprio nei giorni in cui il sistema mondo arresta, e tutto tace, io divento ladra di emozioni, rubo e albe ed i minuti di uscita dal piccolo perimetro domestico e respiro la bellezza e di questa bellezza intravedo nuove forme che non sono solo quelle visuali dell’ arte, di un monumento, ma una bellezza celata, minuziosa, fatta di attimi e di piccole cose…la più toccante forma di bellezza la natura che dirompe con forza dominante in città la gioia delle rondini, coi i nidi del mio tetto, i loro voli e la loro musica all’ alba e al tramonto, i loro giochi nel cielo, mai interrotti dal rumore di una macchina, e ripeto, l’aria era pulita.
Queste visioni, percezioni, sensazioni sono la cornice perfetta del mio nuovo ed intimo rapporto nato. Tra questi vicoli e queste case che mi hanno tenuto compagnia nel Coronaquarantena.