Come sono andate le cose quella mattina del 21 marzo 2017? Chi ha ucciso l’Apicanese? In Corte d’Assise prosegue il processo a Matteo Lombardi (detenuto a Voghera, presente in videoconferenza) e Antonio Zino, accusati rispettivamente di omicidio e favoreggiamento. Lombardi detto “A’ Carpnese” sarebbe a capo della cosca Lombardi-Ricucci-La Torre, la vittima Giuseppe Silvestri, alias l’Apicanese, viene inquadrato dai magistrati della DDA nel clan rivale Li Bergolis-Miucci. Oggi nel tribunale di Foggia è comparso il maresciallo dei carabinieri di Manfredonia, Notarangelo che si è occupato delle indagini.
Il militare, rispondendo alle domande del giudice Civita, del pm della DDA Cardinali e dei difensori di Lombardi, ha ricostruito quella mattina di sangue a Monte Sant’Angelo, riferendo orari e percorsi di Silvestri e dei suoi presunti carnefici.
“Sapevamo che Silvestri era vicino ai montanari (il clan Li Bergolis-Miucci, ndr) – ha esordito il carabiniere -. E sapevamo che aveva preso parte alla rapina alla gioielleria Dei Nobili del 18 febbraio precedente, dando ospitalità agli esecutori materiali. Una rapina fatta da alcuni soggetti, uno dei quali a volto scoperto, Carmine Maiorano arrestato una settimana dopo l’omicidio, mentre si trovava in una proprietà di Perna“. Il maresciallo ha evidenziato i rapporti tra i montanari e il clan di Vieste, Iannoli-Perna rimasto orfano ad aprile 2019 del boss Girolamo Perna, ucciso in un agguato.
I gioiellieri intercettati
Notarangelo ha ripreso alcune intercettazioni dell’epoca, puntando l’attenzione sui gioiellieri rapinati. “Dei Nobili andò il giorno stesso della rapina a reclamare da Silvestri la restituzione del bottino, circa 200mila euro – ha ricordato il maresciallo -. Ebbe risposta negativa”. Poi ha riportato alcune conversazioni del gioielliere e di sua moglie che dicevano che avrebbero festeggiato a base di “aragoste alla faccia di quello che ora è in galera a mangiare la semolata (Maiorano) e alla faccia di quell’altro che ora se lo mangiano i vermi (Silvestri)”.
“Il 4 aprile, in auto, i coniugi Dei Nobili dicevano che Silvestri aveva dato il proprio appoggio per la rapina mentre il 5 aprile fecero riferimento ai due non ancora arrestati. Dissero: ‘speriamo che vediamo un altro funerale’“. Il maresciallo si è anche soffermato su alcune presunte abitudini dei cittadini di Monte Sant’Angelo: “In casa i coniugi bisbigliavano. I montanari hanno come forma mentis il fatto di non parlare apertamente. Lo fanno a bassa voce, pensando di essere intercettati. Parlano raramente. Persino la bambina si rivolse a loro dicendo: ‘ma come mai state bisbigliando?’. Non siamo mai riusciti a capire cosa stessero dicendo”.
E ancora: “Quella gioielleria non ha mai avuto l’assicurazione. Forse non era assicurata perché anni fa pagava il clan Li Bergolis per la protezione. 500 euro al mese versati a Giuseppe Pacilli detto ‘Peppe U’ Muntanar’ (detenuto al 41 bis a L’Aquila, ndr). Ma in quel momento i capi dei montanari erano tutti in galera e non potevano proteggerli”, ha aggiunto ricordando una vicenda emersa nell’operazione “Rinascimento” del 2011. Secondo la ricostruzione del carabiniere, quindi, i gioiellieri si sarebbero rivolti alla concorrenza, il clan Lombardi.
Notarangelo ha anche ricordato che furono le mogli di Enzo Miucci e Matteo Pettinicchio, capo e braccio destro del clan Li Bergolis-Miucci a comprare l’abito per il funerale di Silvestri, questo a conferma dei legami dell’Apicanese con il gruppo criminale. “Ma carabinieri e DDA inizialmente affermavano – come da informativa – che era una messinscena delle coniugi per sviare le indagini sui mariti”, ha replicato duramente la difesa di Lombardi.
Il percorso dei presunti killer
Stando al racconto di Notarangelo, Lombardi e altre due persone, a bordo di una Toyota Rav4 uccisero Silvestri mentre quest’ultimo si trovava in auto sulla via Panoramica di Monte, strada che percorreva tutti i giorni per raggiungere la sua campagna. L’uomo fu ucciso intorno alle 4:45. Poi la Rav4 fu portata in zona Falcare a Cagnano Varano dove venne bruciata. Infine Lombardi si sarebbe incontrato con Antonio Zino all’altezza di Poggio Imperiale sulla A14.
“Stando ai tabulati, i telefoni di Lombardi e Zino cessarono qualsiasi traffico la sera prima dell’omicidio. Tornarono disponibili alle 6:44 quello di Lombardi (a Fossacesia in provincia di Chieti) e alle 8:28 quello di Zino, nei pressi di Fermo. Orari compatibili con la presenza di Lombardi sulla scena del delitto“. I due imputati ammisero fin da subito di essersi recati a Lodi con una Renault Kangoo per un’asta di autovetture ma per l’accusa fu solo un modo per crearsi un alibi.
“Non erano accreditati per partecipare all’asta – ha rimarcato il maresciallo –. L’unico a farlo era un amico di Lombardi residente nel Lodigiano e che li stava aspettando. Alle 13:02 di quel giorno risulta un bonifico di 7000 euro effettuato da Lombardi presso l’ufficio postale di Sant’Angelo Lodigiano. Pagò l’acquisto di una Fiat Punto e di una Panda. 5mila euro per una, 2mila euro per l’altra. Auto che però erano state acquistate giorni prima: il 10 e 16 marzo. In pratica, quel giorno a Lodi, Lombardi rimase poco tempo presso la sede dell’asta e non fece alcun acquisto. In ogni caso, era il suo amico del Lodigiano, proprietario di una concessionaria, a comprare auto per poi intestarle a Lombardi”.
I contatti malavitosi dei due imputati
“Ci risultano frequentazioni con Pasquale Ricucci alias ‘Fic secc’, ucciso a novembre 2019. Spesso Lombardi si muoveva senza telefono per incontrarsi con soggetti della mafia come Ricucci ma riuscivamo ad intercettarlo lo stesso attraverso il cellulare di Zino che era in sua compagnia”, ha ricordato il maresciallo Notarangelo.
E poi c’è quella tappa a Mattinata nell’autosalone di Gianluca Ciuffreda, titolare di licenza per la vendita di veicoli: “A Lombardi serviva un luogo sicuro dove vedersi con Zino”, ha specificato il carabiniere. Ciuffreda, pregiudicato per armi, “contattò Zino e con una banale scusa lo fece convergere a Mattinata senza dirgli che nel proprio autosalone ‘Ciuffreda Auto’ avrebbe trovato Lombardi”. Il teste ha ricordato la preoccupazione del boss dopo aver saputo che Zino sarebbe stato sentito dai carabinieri come persona informata dei fatti.
I difensori replicano
Nel controinterrogatorio, la difesa di Lombardi ha contestato i tempi di percorrenza indicati dal carabiniere: “I due imputati avrebbero viaggiato a 230 km/h, percorrendo 90 chilometri in 25 minuti. Lo riteniamo inverosimile”. E infine: “Abbiamo dimostrato che la contrapposizione dei clan è sorta solo a settembre 2017. L’accusa fino ad allora ipotizzava questioni interne al gruppo Li Bergolis-Miucci. Non furono nemmeno effettuati stub a membri del gruppo Lombardi-Ricucci-La Torre”.
Si torna in Corte d’Assise a fine marzo. Sentenza prevista entro l’estate. (In alto, il luogo del delitto e l’interrogatorio al carabiniere; nei riquadri, Silvestri, Lombardi e Zino)