Furono i foggiani a provare a vendicare la strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017? La risposta dovrebbe arrivare dal processo a Massimo Perdonò, 42 anni, ritenuto dalla DDA tra gli “organizzatori” delle attività criminali del clan Moretti-Pellegrino-Lanza, nipote acquisito del Mammasantissima Rocco Moretti.
L’uomo è alla sbarra con l’accusa di aver provato a uccidere Giovanni Caterino ed è detenuto anche per “Decima Azione”, maxi operazione contro il racket nel capoluogo dauno. Oggi Perdonò era presente nella cella dell’aula penale numero 6 del Tribunale di Foggia.
Acquisito, questa la novità odierna più rilevante nel procedimento a suo carico, il verbale del recente interrogatorio al pentito della “Società Foggiana”, Carlo Verderosa che ha deciso di collaborare con la giustizia. Verderosa, 38 anni, un tempo legato proprio alla batteria “morettiana”, starebbe fornendo informazioni utili agli inquirenti. Temeva per la sua vita e per questo, a dicembre 2019, si è pentito entrando in un programma di protezione. Cosa possa aver detto su Perdonò non è dato saperlo ma le dichiarazioni rese da Verderosa si sono già rivelate preziose per il recente arresto per estorsione di Mario Salvatore Consalvo, Leonardo Ciavarella e Pasquale Nardella (tutti vicini ai Moretti). Il collaboratore di giustizia avrebbe indicato i ruoli all’interno della batteria e chi sarebbero i nemici.
In “Decima Azione” Perdonò è sotto processo con rito abbreviato (i pm hanno chiesto 16 anni per mafia, ndr). A Foggia, invece, è accusato di aver tentato di uccidere Giovanni Caterino, 39enne di Manfredonia alias “Giuann Popò”, quest’ultimo ritenuto dai magistrati antimafia il basista della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017 per conto del clan Li Bergolis-Miucci. Storie che si intrecciano tra “Società Foggiana” e malavita del Gargano. Per l’accusa, Perdonò e altre due persone provarono ad eliminare Caterino il 18 febbraio 2018, probabilmente per vendicare la mattanza sammarchese nella quale morì Mario Luciano Romito, boss di Manfredonia. È vecchia storia lo scambio di favori tra gruppi foggiani e garganici che spesso si servono di killer provenienti da fazioni alleate per “sbrigare” faccende di sangue.
L’agguato a Caterino
Secondo l’accusa (pm della DDA, Luciana Silvestris), Perdonò e due complici, ancora ignoti, si appostarono sotto casa di Caterino a Manfredonia per ammazzarlo. L’agguato (fallito) si consumò il 18 febbraio 2018 alla periferia della città del golfo, nei pressi di via Gargano ma saltò “perché la vittima designata – scrisse il gip nell’ordinanza di arresto di Perdonò – vide i sicari incappucciati e armati e riuscì a scappare con l’auto, nonostante il tentativo dei killer di speronarlo con la propria macchina che rimase incidentata, tanto da costringerli a rapinare l’utilitaria di un passante per fuggire”.
La conversazione tra Perdonò e l’amico
L’intercettazione chiave risale alla mattina del 24 febbraio 2018 – sei giorni dopo l’agguato fallito a Caterino. Conversazione tra Perdonò e un suo amico estraneo all’indagine, Francesco Abbruzzese detto “Stuppin”, sempre legato ai Moretti. All’epoca Abbruzzese era ai domiciliari e la microspia fu piazzata dalla squadra mobile nella sua abitazione nell’ambito di un’altra indagine. A dire dell’accusa, Perdonò confidandosi con l’amico confessò il proprio coinvolgimento nel tentativo di omicidio ai danni di Caterino e nella successiva rapina ai danni di un automobilista per poter fuggire dal luogo dell’agguato fallito.
“Come se ne è uscito quella mattina è andata la volante – disse Perdonò -, come ho visto tutto coso me ne sono andato. Ci siamo messi con la macchina ad aspettare, non ti dico Franco che è successo. L’ho visto io a quello poi, dopo quella là ha cambiato, la fortuna nostra è che quel ‘calamone’ è passato dritto, e lui è sceso a piedi, io l’ho visto, ho detto vedete che è lui. Ancora non è lui, oh, ho detto è lui, sentitemi che è lui, è lui, è lui, facevo io: devo andare io? No, non ancora si adesso passiamo avanti, quello ci ha visti, ci ha visto, quello all’ultimo momento piglia e va a prendere la macchina sua. Lo agganciamo davanti con la macchina, lo prendo di faccia, oppure se lascia spazio ci mengo una botta”.
Secondo il gip Cafagna: “Perdonò ha quindi riferito al suo interlocutore una scansione degli eventi perfettamente compatibile con le altre risultanze investigative”. Va rimarcato che quando la squadra mobile intercettò la conversazione tra Perdonò e l’amico, non si sapeva nulla dell’agguato subito da Caterino sei giorni prima e mai denunciato alle forze dell’ordine. L’intuizione dei poliziotti, visto che nell’intercettazione si diceva anche “ho dovuto togliere una macchina a uno”, fu di controllare le rapine avvenute in quel periodo e si scoprì così che la mattina del 18 febbraio 2018 un manfredoniano era stato aggredito da tre persone armate e incappucciate e rapinato della propria Fiat Panda. Quando poi il 16 ottobre 2018 Caterino fu arrestato per la strage di mafia e furono svelati gli atti d’indagine e le intercettazioni, si venne a sapere anche del tentato omicidio subìto dallo stesso manfredoniano il 18 febbraio: a quel punto l’agguato fallito venne collegato alla conversazione intercettata che coinvolge Perdonò.
Durante la conversazione, Perdonò e Abbruzzese parlarono dei “Maschi della Montagna”, indicando in questo modo i mafiosi garganici. I due avevano saputo che c’era l’intenzione da parte dei gruppi del promontorio di attentare alla vita di un Moretti. Un sanguinoso botta e risposta; da un lato i Li Bergolis-Miucci, storici alleati dei foggiani Sinesi-Francavilla, dall’altro il gruppo di Mario Luciano Romito (ormai soppiantato dal clan Lombardi). Sono noti i piaceri tra clan, come quando i Sinesi-Francavilla favorirono la latitanza di Franco Li Bergolis, il super boss condannato all’ergastolo per “Iscaro-Saburo”. Lo stesso fecero i montanari con il capomafia foggiano, Roberto Sinesi.
“Dovevano farmi buchi buchi”
“A me mi dovevano fare buchi buchi, mi dovevano cancellare i connotati, però non ce l’hanno fatta”, diceva Caterino in una conversazione intercettata dai carabinieri. “Tutti quanti sanno che io non posso stare a Manfredonia, che io c’entro in qualche cosa, che a me mi devono uccidere. Il giorno che è morto Saverino mi sono detto ‘mo’ sono morto io’ perché loro tenevano due persone che dovevano uccidere, quelli tengono anche ad altri, però la priorità era a me e a Saverio Faccia d’angelo”. Saverino sarebbe Saverio Tucci, uomo del clan Li Bergolis-Miucci ucciso il 10 ottobre 2017 da Carlo Magno, reo confesso e oggi collaboratore di giustizia. Magno raccontò che Tucci gli avrebbe confidato di aver preso parte alla strage di San Marco. (In alto, Perdonò e Verderosa; sotto, Caterino)