Massimo Perdonò, 42 anni, alla sbarra con l’accusa di aver provato a uccidere Giovanni Caterino. Alle battute finali il processo all’uomo della “Società Foggiana”, ritenuto dalla DDA tra gli “organizzatori” delle attività criminali del clan Moretti-Pellegrino-Lanza. La sentenza è prevista in primavera. L’imputato è detenuto anche per “Decima Azione”, maxi operazione contro il racket nel capoluogo dauno. Mentre a Bari è sotto processo con rito abbreviato (i pm hanno chiesto 16 anni per mafia, ndr), a Foggia proseguono le udienze sul tentato omicidio di Caterino, quest’ultimo ritenuto dai magistrati antimafia il basista della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017. Storie che si intrecciano tra “Società Foggiana” e malavita del Gargano. Per l’accusa, Perdonò e altre due persone provarono ad eliminare Caterino il 18 febbraio 2018, probabilmente per vendicare la mattanza sammarchese nella quale morì Mario Luciano Romito, boss di Manfredonia, vicino ai Moretti. È storia lo scambio di favori tra gruppi foggiani e garganici che spesso si servono di killer provenienti dalla fazione amica per “sbrigare” faccende di sangue.
Oggi era previsto l’esame dell’imputato Perdonò, presente in videoconferenza. Prima di lui, i giudici in seduta collegiale (Mancini, Carnevale, Arpino) avrebbero dovuto ascoltare tre testi nominati dalla difesa tra i quali il 42enne foggiano Francesco Abbruzzese detto “Stoppino”, uomo di fiducia del clan Moretti-Pellegrino-Lanza. Nessuno era presente e allora i legali di Perdonò hanno provato a chiedere il rinvio dell’udienza. Dopo il no dei giudici e l’opposizione della pm della DDA, Luciana Silvestris, determinata ad ascoltare ugualmente l’imputato, la difesa ha rinunciato all’esame. Nella prossima udienza, disposta a febbraio, saranno sentiti solo i tre testi, nella speranza che tornino reperibili. Ormai saltato l’esame di Perdonò che non si esclude possa rilasciare dichiarazioni spontanee in futuro. Si vedrà.
C’è attesa soprattutto per la deposizione di Abbruzzese. Il processo, infatti, ruota su un’intercettazione ambientale captata all’interno dell’abitazione di “Stoppino” il quale, mentre era ai domiciliari, ospitò Perdonò, elemento di vertice del clan foggiano e nipote acquisito del Mammasantissima Rocco Moretti.
Secondo l’accusa, Perdonò e altri due presunti complici, ancora ignoti, si appostarono sotto casa di Caterino a Manfredonia per ammazzarlo e vendicare la morte di Mario Luciano Romito. L’agguato a Caterinò si consumò il 18 febbraio 2018 alla periferia della città del golfo, nei pressi di via Gargano ma fallì “perché la vittima designata – scrisse il gip nell’ordinanza di arresto di Perdonò – vide i sicari incappucciati e armati e riuscì a scappare con l’auto, nonostante il tentativo dei killer di speronarlo con la propria macchina che rimase incidentata, tanto da costringerli a rapinare l’utilitaria di un passante per fuggire”.
L’intercettazione chiave dell’inchiesta a carico di Perdonò risale alla mattina del 24 febbraio 2018 – sei giorni dopo l’agguato fallito a Caterino – tra lo stesso Perdonò e “Stoppino”. Abbruzzese, come detto, era ai domiciliari; la microspia fu piazzata dalla squadra mobile nella sua abitazione nell’ambito di un’altra indagine sulla mafia del capoluogo. A dire dell’accusa, Perdonò, confidandosi con l’amico, confessò il proprio coinvolgimento nel tentativo di omicidio ai danni di Caterino e nella successiva rapina ai danni di un automobilista per poter fuggire dal luogo dell’agguato fallito.
Durante la conversazione, Perdonò e Abbruzzese parlarono dei “Maschi della Montagna”, indicando in questo modo i mafiosi garganici. I due avevano saputo che c’era l’intenzione da parte dei gruppi del promontorio di attentare alla vita di un Moretti. Un sanguinoso botta e risposta; da un lato i Li Bergolis-Miucci, storici alleati dei foggiani Sinesi-Francavilla, dall’altro il gruppo di Mario Luciano Romito (ormai soppiantato dal clan Lombardi). Sono noti i piaceri tra clan, come quando i Sinesi favorirono la latitanza di Franco Li Bergolis, il super boss condannato all’ergastolo per “Iscaro-Saburo”. Lo stesso fecero i montanari con il capomafia foggiano, Roberto Sinesi.
“A me mi dovevano fare buchi buchi, mi dovevano cancellare i connotati, però non ce l’hanno fatta”, diceva Caterino in una conversazione intercettata dai carabinieri. “Tutti quanti sanno che io non posso stare a Manfredonia, che io c’entro in qualche cosa, che a me mi devono uccidere. Il giorno che è morto Saverino mi sono detto ‘mo’ sono morto io’ perché loro tenevano due persone che dovevano uccidere, quelli tengono anche ad altri, però la priorità era a me e a Saverio Faccia d’angelo”. Saverino sarebbe Saverio Tucci, uomo del clan Li Bergolis-Miucci ucciso il 10 ottobre 2017 da Carlo Magno, reo confesso e oggi collaboratore di giustizia. Magno raccontò che Tucci gli avrebbe confidato di aver preso parte alla strage di San Marco. (In alto, da sinistra, Caterino, Perdonò e Abbruzzese; sullo sfondo, l’udienza di oggi)