Il gup del Tribunale per i Minorenni di Bari ha condannato a 8 anni e a 6 anni e 4 mesi di reclusione due fratelli rumeni di 17 e 18 anni accusati di riduzione in schiavitù, prostituzione minorile e sequestro di persona ai danni di tre connazionali di appena 16 anni. I fatti contestati risalgono al periodo tra marzo e settembre 2018, avvenuti in un campo rom alla periferia di Foggia.
Uno dei due risponde anche di lesioni personali aggravate per aver picchiato una delle ragazze, con le quali aveva una relazione, mentre era incinta al settimo mese di gravidanza e che alcuni giorni dopo l’aggressione, con calci e pugni, perse il bambino. Fu allora che la giovane vittima, dopo essere fuggita nel cuore della notte, decise di denunciare.
Le vittime erano state condotte nel campo rom di via San Severo, periferia di Foggia, con l’inganno e poi chiuse in alcune baracche serrate con catena e lucchetto. Infine costrette a prostituirsi, totalmente in balia dei loro aguzzini che le picchiavano “senza pietà” ed erano pronti a vendere il neonato di una delle vittime per 28mila euro. In queste condizioni hanno vissuto per mesi le tre ragazze minorenni, secondo la ricostruzione della Dda di Bari che permise di scoprire “uno spaccato di cui si ignorava l’esistenza nel nostro territorio”.
L’inchiesta iniziò grazie alla fuga di una delle donne ridotte in schiavitù. Stando a quanto accertato dalla pm antimafia Simona Filoni e al pubblico ministero per i minorenni Caterina Lombardo Pijola, la ragazza fuggì “dopo essere stata selvaggiamente pestata con calci, pugni, schiaffi e cinghiate, sferrati in ogni parte del corpo, sulla faccia, sulla pancia e dietro la schiena, nonché trascinata per i capelli, facendola strisciare per terra, all’interno della baracca nella quale veniva segregata, da uno dei fermati”. Arrivata in un vicino accampamento, la minorenne fu soccorsa dai medici del 118, poi trovò il coraggio tutto.