La squadra mobile della Questura di Foggia, 2^ Sezione, diretta da Roberto Pititto, ha dato esecuzione al decreto di Fermo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, D.D.A e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bari, nei confronti di sei soggetti (di cui quattro maggiorenni e due minorenni), tutti di origine rumena, domiciliati presso il campo rom di Foggia, sito in via San Severo.
I fermi sono stati emessi, per quanto concerne gli adulti, dal sostituto procuratore della D.D.A., Simona Filoni e, per quanto riguarda i due minorenni, dal sostituto procuratore, Pijola Caterina Lombardo.
I soggetti fermati, tutti di etnia rumena, appartengono allo stesso nucleo familiare ed agli stessi sono contestati i delitti, tutti pluriaggravati, di riduzione e mantenimento in stato di servitù, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e sequestro di persona, tutti reati accertati a Foggia, dal mese di marzo 2018 fino al mese di settembre 2018. Vittime soggetti minorenni. I fermati sono Febronel Costache, nato a Urzica /Craiova giurisdizione Olt nel distretto di Dolj in Romania, il 15 agosto 1971, detto “Bal Parno”, Poenita Chiriac, nata il 4 gennaio 1972 nel distretto di Dolj com. Gingiova, Romania, alias “Poiana”, (compagna di Febronel Costache e matrigna di S.D., minorenne), Mariana Raluca Iovanut, nata il 29 luglio 1991 a Caransebes, distretto di Caras – Severin, Solomon Costache, nato il 07 marzo 1992 in Romania, detto “Solomon”(figlio di Poiana e Febronel), e, infine, S.D. e D.I. (minorenni, figli di Costache e Chiriac). Le vittime accertate risultano essere tre ragazze minorenni, di origine rumena, aventi oggi tra i sedici ed i diciassette anni.
L’indagine nasce dalla fuga di una minorenne, avvenuta nella notte del 3 settembre 2018 dal campo rom di via San Severo, la quale era riuscita a fuggire dopo essere stata selvaggiamente pestata con calci, pugni, schiaffi e cinghiate, sferrati in ogni parte del corpo, sulla faccia, sulla pancia e dietro la schiena, nonché trascinata per i capelli, facendola strisciare per terra, all’interno della baracca nella quale veniva segregata, da uno dei fermati, materialmente identificato proprio nel minore S.D.. La minore era riuscita a chiedere aiuto ad alcune persone, di nazionalità italiana, che occupavano un vicino accampamento e che avevano chiamato la Polizia ed il 118.
Le indagini capillari svolte dalla squadra mobile di Foggia, sotto il diretto e continuo coordinamento della Procura, hanno consentito di accertare l’esistenza di uno schema messo a punto dagli arrestati secondo il quale le minori, tutte appartenenti a nuclei disagiati, una volta condotte nel campo con l’inganno e l’impiego degli stratagemmi più vari, venivano di fatto segregate all’interno di alcune baracche lì presenti, chiuse dall’esterno con una catena ed un lucchetto, picchiate continuativamente per più giorni per piegare le loro capacità di reazione e costrette a prostituirsi sotto il diretto controllo dei loro aguzzini.
In particolare, le indagini delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia alla squadra mobile di Foggia, Seconda Sezione, hanno consentito di accertare le ipotesi di reato in contestazione e di fare emergere, attraverso l’ascolto di una delle vittime, nonché tramite i riconoscimenti fotografici degli autori dei fatti delittuosi, oltre che le attività di sopralluogo svolte, gli accertamenti tecnici sui telefoni e l’esame dei social network, uno spaccato di cui si ignorava l’esistenza nel nostro territorio, di una delle nuove forme di “schiavitù moderna”, costituita dalla riduzione e dal mantenimento in stato di schiavitù di giovani straniere, per lo più sole e non in contatto con la famiglia, tutte minorenni da adibire al mercato della prostituzione, direttamente controllato dagli stessi fermati.
I controlli h24
È stato accertato, infatti, che nessuna delle vittime poteva scappare dal campo, essendo controllata 24 ore al giorno, sia durante la permanenza nel campo attraverso la segregazione nelle baracche, sia durante gli spostamenti dalla baracca, che avvenivano sotto il diretto controllo degli uomini del gruppo criminale e delle donne, fino alla SS 16 (direzione Lucera, posto a circa duecento metri dallo svincolo per via San Severo), in cui erano costrette a prostituirsi, dopo essere state accompagnate in automobile dagli indagati fermati.
Gli arrestati ponevano in essere le loro condotte non solo con il costante e brutale impiego della violenza e delle minacce, ma anche approfittando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica delle vittime connesse alla loro minore età ed alla loro condizione di cittadine straniere, sole sul territorio italiano e prive di qualcuno che reclamasse la loro scomparsa e per di più senza mezzi ( è stato accertato che i fermati, una volta condotte le minori nel campo, le privavano dei telefoni cellulari e dei documenti).
Quanto ai ruoli rivestiti dagli indagati sottoposti a decreto di fermo, si precisa che Febronel Costache, detto “Bal Parno”, rivestiva il ruolo di capo famiglia, posto in posizione di supremazia rispetto ai restanti membri del gruppo criminale, ed è colui che, dopo aver concorso nella riduzione in schiavitù delle vittime materialmente operato dai figli, garantiva il mantenimento di siffatto status, controllando che le stesse, gestite direttamente dai suoi figli Solomon Costache, S. D. e D.I., fossero piegate al loro volere (e dunque mantenute in stato di schiavitù), attraverso una serie continuativa di aggressioni fisiche, deprivazioni e segregazioni all’interno delle baracche, cui assisteva con assoluta indifferenza.
Costache raccoglieva, unitamente alla sua compagna, “Poiana” e per il tramite dei figli, almeno la metà dei proventi della attività di prostituzione che le minori erano costrette a praticare, organizzando al dettaglio l’attività di prostituzione e fornendo alle vittime i preservativi da utilizzare durante l’attività di meretricio e conducendole, da solo o insieme ai propri figli, sulla S.S.16, con direzione Lucera, dove controllava che si prostituissero permanendo sul posto con continui passaggi in automobile. “Poiana”, compagna di Febronel, riscuoteva in prima persona, anche per conto del capo famiglia, o direttamente dai coindagati o dalle minori vittime, metà del corrispettivo della attività di prostituzione.
La donna garantiva la prosecuzione della loro attività anche in caso di controlli all’esterno da parte delle Forze dell’Ordine, circostanza in cui si presentava, anche grazie alla difficoltà di effettuare una precisa identificazione delle minori, quale “zia” delle ragazze mantenute in condizioni di soggezione continuativa per ottenere il loro “affidamento”, nonché esercitando un controllo stringente sulle stesse per evitare che potessero fuggire dal campo o parlare con qualcuno, assistendo alle ripetute e violente aggressioni fisiche perpetrate da S. D. ai danni di una delle vittime, nonché fornendo loro i preservativi da utilizzare durante l’attività di prostituzione.
Si prostituivano anche se in gravidanza
Solomon Costache, insieme ai minori S. D. e D. I., esercitava sulle vittime poteri corrispondenti al diritto di proprietà, riducendole e mantenendole in stato di soggezione continuativa, fino ad azzerarne, attraverso l’impiego quotidiano della violenza e delle minacce, ogni capacità di autodeterminazione, riducendole al rango di “res”, facendole temere per la propria vita, nonché sottoponendole a continue deprivazioni e sofferenze fisiche e psichiche; conducendole sulla strada statale 16 dove controllavano che si prostituissero, permanendo sul posto con continui passaggi in automobile o nascondendosi dietro i cespugli; fornendo alle vittime i preservativi necessari ad esercitare l’attività di prostituzione alla quale erano costrette.
La proposta shock: nascituro venduto per 28mila euro!
Il giovane intascava direttamente il denaro guadagnato dalla sua compagna Iovanut con l’attività di prostituzione. La stessa Iovanut partecipava alle attività illecite del gruppo familiare, all’interno del quale si era inserita quale compagna di Solomon. La ragazza assisteva a tutte le condotte illecite commesse in danno delle vittime senza intervenire in loro aiuto, controllandole durante l’attività di prostituzione, nonché acquistando, unitamente a “Poiana” i preservativi da fornire alle vittime. La Iovanut, inoltre, si identifica in colei che, a sua volta, si era occupata della segregazione dell’altra minore, ridotta in schiavitù e costretta a prostituirsi in precedenza e come accaduto all’altra minore dalla quale sono partite le indagini lo scorso 3 settembre. Tale indagata, tra l’altro, costringeva la vittima fuggita dal campo la sera del 3 settembre, a prostituirsi fino al settimo mese di gestazione, e proponeva agli altri fermati la possibilità di vendere il nascituro ad un soggetto da lei conosciuto per la somma di 28.000 euro.
Le indagini hanno consentito di accertare come fosse prassi consolidata quella di costringere le minori a prostituirsi anche durante la gravidanza e, davanti al rifiuto opposto dalle vittime, le stesse venivano percosse senza pietà dai rispettivi fermati preposti al loro controllo.
I decreti di fermo sono stati eseguiti congiuntamente dalla Procura della Repubblica di Bari, D.D.A. e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bari, essendo due dei fermati minorenni.
Le indagini svolte nei confronti dei soggetti hanno dimostrato che si tratta di due fratelli del medesimo nucleo, la cui condotta, a dispetto della minore età, si è caratterizzata per la ferocia e la violenza adoperate nei confronti delle vittime, del cui stato di schiavitù entrambi rispondevano direttamente al capo famiglia. Le due Procure della Repubblica hanno agito in sinergia, in considerazione della gravità dei fatti reato e del pericolo connesso alla vulnerabilità delle vittime, elementi, questi, che hanno indotto gli inquirenti a svolgere indagini “lampo”, anche per prevenire il rischio “fuga” da parte dei fermati.
Le condotte dei fermati sono connotate da allarmante gravità, alla luce della loro efferatezza ed il disprezzo per la vita umana dimostrati dagli indagati, soprattutto in danno di giovani vittime minorenni e dei nascituri che portavano in grembo; gli stessi hanno, pertanto, dimostrato una totale indifferenza per le condizioni di particolare fragilità delle vittime e di non possedere il benché minimo sentimento di pietà verso le stesse.
Decisivo, ai fini delle indagini, è risultato il contributo delle vittime reso attraverso le loro dichiarazioni. I fermati si trovano ristretti in stato di custodia cautelare, rispettivamente, presso il carcere di Foggia e presso il C.P.A. dell’Istituto Penale per i Minorenni di Bari.
Quella di oggi – fanno sapere gli inquirenti – costituisce una delle prime e più importanti operazioni della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari in materia di riduzione e mantenimento in stato di schiavitù e di sequestro di persona consumati ai danni di giovani minorenni da destinare al mercato della prostituzione, nonché segna l’inizio di una serie di attività finalizzate al contrasto di un fenomeno tragicamente allarmante e dilagante.