C’erano tre o quattro uomini nella notte tra il 20 e 21 marzo in giro per Monte Sant’Angelo in attesa della morte di Giuseppe Silvestri detto “l’Apicanese”, trovato morto nel suo Doblò intorno alle 4:45 del mattino in via Panoramica. È quanto emerso nel corso del processo che si sta celebrando a Foggia, in Corte d’Assise, davanti al giudice Antonio Civita. In videoconferenza Matteo Lombardi, 49enne nato a Monte Sant’Angelo ma residente a Manfredonia, detto “A’ Carpnese”. L’uomo – ritenuto dalla DDA organizzatore ed esecutore del fatto di sangue – era in collegamento da Voghera dove è detenuto. Lombardi, secondo magistrati e forze dell’ordine, sarebbe al vertice del nuovo clan garganico Lombardi-Ricucci-La Torre, attivo soprattutto tra Manfredonia, Monte e Mattinata. I difensori dell’imputato, penalisti Pietro Schiavone e Francesco Santangelo, sono convinti di poter smontare le accuse e far cadere anche i collegamenti mafiosi che graviterebbero attorno all’omicidio di Silvestri, quest’ultimo ritenuto vicino al clan avverso Li Bergolis-Miucci (anche se la difesa si dice pronta a dimostrare il contrario anche su questo aspetto). Fino ad oggi, però, il compendio probatorio posto al vaglio dei giudici del Riesame, benché in materia cautelare, ha confermato l’impianto accusatorio.
Al centro del dibattimento di oggi, la Toyota Rav4 filmata dalle telecamere poco prima dell’uccisione. Il veicolo, stando ad alcuni frame, transitò in via Caduti di Adua, nei pressi dell’abitazione di Silvestri. Gli uomini a bordo si sarebbero sincerati che la vittima si trovasse ancora in casa. Secondo la testimonianza del comandante dei carabinieri di Monte, Michelangelo Dargenio, sentito in udienza, nell’auto erano presenti tre persone. Fu proprio Dargenio ad occuparsi dell’acquisizione dei filmati delle telecamere nella zona dell’omicidio. La Rav4 si diresse contromano in via Ursumando per giungere sulla panoramica sud, teatro del delitto. Non è chiaro se sia l’auto dei killer o quella dei favoreggiatori. La Toyota fu ritrovata bruciata solo la mattina del giorno dopo in agro di Cagnano Varano. Resta nel mistero il colore del veicolo.
Sentito anche un residente della zona, un uomo che chiamò i carabinieri dopo aver scoperto l’omicidio: “Stavo dormendo, poi ho sentito degli spari ma pensavo fossero i petardi per la festa di San Giuseppe. Mi sono affacciato al balcone e ho visto il Dobló fermo a centro strada. A quel punto ho contattato la caserma”. “Ha visto o sentito un’auto allontanarsi?”, la domanda dei difensori. “No, niente”, la risposta del testimone.
Lombardi, sempre stando all’accusa, dopo l’omicidio si recò in Lombardia insieme al manfredoniano Antonio Zino per partecipare ad un’asta di auto al fine di crearsi un alibi. Zino è l’altro imputato del processo: risponde di favoreggiamento e ostacolo alle indagini.
Grande attesa per i RIS
Sarà fondamentale la prossima udienza per fare luce su tutta la vicenda. Prevista la testimonianza di militari del RIS che presenteranno le proprie risultanze: in particolare la presenza del DNA di Lombardi su una delle cartucce trovate sul manto stradale nei pressi del Doblò della vittima. La difesa è pronta a dare battaglia attraverso la consulenza di una professionista di Firenze, la stessa del caso Meredith. L’avvocato Schiavone è sicuro che le risultanze del RIS saranno contrastate efficacemente.
Legami con altri casi di cronaca
Il pm ha chiesto che vengano acquisti atti relativi ad altri procedimenti. In particolare l’ordinanza di arresto di Carmine Maiorano, beccato per la rapina ai danni della gioielleria “Dei Nobili” svaligiata il 18 febbraio 2017 a Monte Sant’Angelo dai viestani del clan Iannoli-Perna, gruppo criminale alleato ai montanari Li Bergolis-Miucci.
Tre persone armate fecero irruzione nell’attività attorno alle 18:35 e, dopo aver minacciato la titolare con le armi provocando lesioni alla vittima, si impossessarono di un ingente quantitativo di gioielli per un valore di oltre 200mila euro. Le indagini dell’epoca permisero di acclarare la responsabilità di Carmine Maiorano. L’uomo fu arrestato il 28 marzo dello stesso anno. Nel corso delle indagini emerse che Silvestri fornì ospitalità ai viestani per la consumazione della rapina e, probabilmente, anche per i sopralluoghi e per la successiva fuga. “Il tutto ovviamente – precisò il gip – con il ‘necessario’ benestare di Enzo Miucci, attuale capo indiscusso del clan Li Bergolis dominante sul territorio”.
Per il pm, l’ordinanza Maiorano è pertinente in quanto c’è l’aggravante mafiosa e perché servirebbe a comprendere l’intenzione del gruppo Lombardi di contrastare i Li Bergolis-Miucci nel controllo del territorio. “Si ritiene che il movente dell’omicidio sia riconducibile a quella rapina alla gioielleria. Inoltre è importante constatare che il luogo dove venne trovato Maiorano fu l’abitazione di Girolamo Perna, boss viestano ucciso ad aprile scorso”.
Tra i documenti che l’accusa ha chiesto di acquisire c’è anche la nota sentenza antimafia “Iscaro-Saburo” oltre ad alcune dichiarazioni rese da Tommaso Tomaiuolo (soldato del clan Li Bergolis-Miucci), presente al momento dell’omicidio di Omar Trotta, giovane ristoratore di Vieste ucciso nell’estate 2017. Tomaiuolo è ben noto agli investigatori anche per la vicenda dei messaggi che il giovane avrebbe girato al proprio boss Miucci durante il periodo di detenzione grazie al supporto dell’avvocato.
Inoltre, c’è anche il foglio di un permesso fornito a Mario Luciano Romito il 20 marzo, giorno prima dell’omicidio Silvestri. Romito, ammazzato il 9 agosto successivo nella strage di San Marco in Lamis, aveva avuto l’ok a presenziare al funerale della madre. Anche in questo caso Schiavone e Santangelo non capiscono il legame con il processo a Lombardi.
Per la difesa si tratta di un “compendio di documenti e sentenze senza particolari pertinenze con il processo”. Bocciate, intanto, le informative di reato, del tutto inammissibili. Sull’acquisizione degli altri atti il giudice scioglierà la riserva durante la prossima udienza.
Congelata la decorrenza dei termini per Lombardi
“Su Lombardi sussistono i presupposti della sospensione della durata della custodia cautelare per la gravità delle imputazioni e la complessità del quadro degli elementi di prova che si ritiene offrire”. Per questi motivi, il giudice ha detto no alla decorrenza dei termini per il principale imputato che, in caso contrario, sarebbe stato scarcerato nel 2021. In ogni caso il processo finirà molto prima, al massimo entro l’estate 2020. Zino, invece, può tornare in libertà. (In alto, la Corte d’Assise; nei riquadri, la Toyota Rav4, Lombardi e l’omicidio Silvestri)