Mafia Monte: dal cavallo di ritorno all’omicidio Rosa, salta “conversazione chiave”. Assolti i fratelli Rignanese

SI salva anche Matteo Pio Prencipe. L’accusa chiedeva condanne da 5 a 8 anni di reclusione ma non hanno retto le intercettazioni captate dagli investigatori

Si è chiusa con tre assoluzioni la vicenda riguardante un maxi furto presso un’azienda agricola di Cagnano Varano. Il caso fu molto chiacchierato nel 2014, scoperto dai carabinieri durante le indagini sull’omicidio di Ivan Rosa, giovane di Monte Sant’Angelo ucciso il 19 marzo di quell’anno e trovato cadavere a Bosco Quarto, forse vittima di mafia. Ben 10 gli arrestati dell’epoca (quasi tutti scelsero l’abbreviato), soprattutto montanari e sammarchesi, accusati di aver depredato l’azienda Perta di Cagnano, rubando mezzi agricoli, motoseghe e fucili per poi mettere in atto la tecnica del “cavallo di ritorno”, tesa ad ottenere soldi (7mila euro) in cambio della restituzione della merce.

Assolti i fratelli Bartolomeo Rignanese (45 anni) e Raffaele Rignanese (37 anni). Assoluzione anche per Matteo Pio Prencipe (40 anni). La decisione è giunta oggi nel Tribunale di Foggia, terza sezione penale, giudice Antonio Civita, al termine del procedimento svolto con rito ordinario. L’accusa chiedeva 8 anni per Bartolomeo Rignanese, 6 per Raffaele e quasi 5 per Prencipe.

Bartolomeo Rignanese, principale indagato, ha evitato una pesante condanna soprattutto grazie ad un perizia che ha ritenuto “non intellegibile” la conversazione chiave captata durante l’inchiesta. Inoltre non hanno convinto le parole di Antonio Rosa, altro arrestato per quel furto, che nelle conversazioni intercettate, forse sapendo di essere ascoltato, tentò di alleggerire la posizione del fratello Ivan, deceduto pochi giorni prima, deviando le attenzioni su altri soggetti.

Per Bartolomeo Rignanese è la seconda assoluzione nel giro di pochi mesi dopo quella nel processo sull’intimidazione all’ingegnere del Comune di Monte Sant’Angelo, Giampiero Bisceglia. Il 45enne, a maggio 2014, fu arrestato con l’accusa di aver esploso ben 30 colpi contro la saracinesca del box della vittima danneggiando anche l’auto del dirigente dell’Ufficio Tecnico. Centrale nel processo la testimonianza di un uomo che ammise di non aver visto in faccia gli attentatori per poi essere certo di aver notato e riconosciuto Ivan Rosa e Bartolomeo Rignanese – nonostante fossero incappucciati – mentre si dirigevano verso il box di Bisceglia esplodendo i proiettili.

Testimonianza che non resse in fase d’appello in una logica giustamente favorevole all’imputato. I giudici assolsero Rignanese “per non aver commesso il fatto”. L’episodio, però, servì ad accendere i riflettori sul Comune di Monte Sant’Angelo poi sciolto per mafia nel luglio 2015. (In alto, in foto, il luogo dell’omicidio Rosa e Bartolomeo Rignanese; sullo sfondo, il box dell’ingegnere Bisceglia crivellato di colpi)