La mafia foggiana, garganica e cerignolana al centro di un intervento del pm della DDA di Bari, Francesco Giannella, tra i massimi esponenti della lotta alla criminalità in Capitanata. Giannella, tra coloro che hanno messo a segno la maxi operazione “Decima Azione” del 30 novembre 2018, è stata ospite a Cerignola della “Settimana Sociale Diocesana” organizzata dalla Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano.
“Il pericolo più grande è svalutare il fenomeno – ha detto –. Anche nella nostra terra non è stato facile ottenere il riconoscimento della natura mafiosa di certi delitti e organizzazioni perché ammettere l’esistenza di una mafia sul proprio territorio è ritenuto infamante per la popolazione”.
Sulla Società Foggiana, Giannella ha spiegato che “spesso le frizioni tra i clan del capoluogo seguono proprio le operazioni antimafia. Le batterie locali hanno bisogno di recuperare denaro e riaffermarsi sul territorio dopo lo smacco subito”.
E la mafia garganica? Il pm della DDA ricorda che da sempre i clan del promontorio “si caratterizzano per l’assenza di riti di affiliazione e il forte vincolo familistico. La cosa che rende difficile comprenderne le gerarchie, definite da rapporti di forza e non investiture formali, è dovuta al fatto che ci siano pochi se non nessun pentito”.
Mentre il sangue scorre a Foggia e sul Gargano, a Cerignola ci sarebbe stato un “salto di qualità”. In una recente inchiesta di Panorama, uno 007 ha rivelato che i capi della mafia cerignolana terrebbero le fila da Milano. “Qui la criminalità ha assunto una caratteristica ancor più pericolosa poichè, mentre altrove si continua a sparare, qui ciò non accade da relativamente molto tempo. C’è stato un salto di qualità. La gestione degli affari illeciti avviene silenziosamente”.
Secondo Giannella “la caratteristica della criminalità organizzata locale è la coniugazione di tradizione e modernità, che consiste nella capacità di penetrare nella struttura economica, sociale e politica”, abilità che spesso i clan hanno sviluppato nel periodo in cui i boss storici sono stati in carcere. “Un arco di tempo difficile da analizzare per noi inquirenti in cui hanno potuto confrontarsi con altri loro pari ed escogitare nuove strategie da applicare una volta scontata la pena”.