La Camera dei Deputati ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni di concedere l’ok all’utilizzo delle intercettazioni di conversazioni dell’ex deputato di San Marco la Catola in provincia di Foggia, Lello Di Gioia intercettate il 18, 26 e 27 aprile 2016 e, con distinta votazione, la proposta della Giunta per le autorizzazioni di negare la medesima autorizzazione con riferimento alle restanti intercettazioni effettuate dal 2 maggio al 10 giugno 2016 (Doc. IV, n. 1-A).
Sullo storico deputato socialista, poi passato al Pd, pende un caso di induzione indebita, per il quale risulta indagato a Foggia. L’organismo di Montecitorio, presieduto dal deputato di FdI, Andrea Delmastro Delle Vedove, aveva messo sul tavolo la richiesta di autorizzazione nel settembre scorso, trasmessa dal gip del Tribunale di Foggia, Protano per l’utilizzo delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche in cui è incappato proprio Di Gioia quando era ancora parlamentare.
Il caso è quello dei presunti esami truccati per l’abilitazione all’esercizio della professione di dottore commercialista ed esperto contabile nel capoluogo dauno. Di Gioia fu intercettato indirettamente mentre parlava al telefono col giudice, Michele Cristino, presidente della commissione tributaria provinciale di Foggia, a sua volta coinvolto in un’inchiesta, in qualità di membro della commissione esaminatrice. Il gip intende acquisire, previa autorizzazione del Parlamento, appunto, i dialoghi intercettati e trascritti “da cui si evincono i contatti del Di Gioia con Cristino Michele” e di quest’ultimo con un dipendente della commissione tributaria.
Ma questa è solo una delle grane di Lello Di Gioia, già pizzicato nel 2015 in un’intercettazione emersa durante le indagini contro la “banda del caveau” guidata dal “Lupin” foggiano, Olinto Bonalumi. Un colpo piuttosto noto in città per via del bottino, ben 15 milioni di euro sottratti al Banco di Napoli di Piazza Puglia.
Un’informativa della Questura mise in evidenza i presunti legami tra l’ex parlamentare e Bonalumi.
La storia del maiale
L’onorevole si adoperò per far aver indietro una parte della refurtiva rubata al titolare di una delle tante cassette di sicurezza saccheggiate al Banco di Napoli. Di Gioia venne fermato una settimana dopo l’assalto al caveau, identificato dalla polizia lungo una strada di Foggia verso l’ora di pranzo, insieme con Bonalumi e altri pregiudicati coinvolti nel colpo. Ma la sua amicizia e il rapporto di mediazione con la gang – secondo gli investigatori – emersero con chiarezza solo due mesi dopo.
Fu una cimice sistemata nell’auto di Bonalumi e De Matteis a svelare il ruolo dell’ex onorevole nella vicenda. Il 4 maggio 2012 i due malviventi raggiunsero Di Gioia: “Dobbiamo portare i soldi a quello… all’onorevole. Ci sta aspettando”.
Arrivarono sotto casa del politico e Bonalumi, prima di uscire dalla macchina, disse a De Matteis: “A questo dobbiamo assolutamente lasciarlo perdere”. Passò quasi mezzora e il capo della banda tornò in auto. I due si allontanarono per tornare da Di Gioia poco più tardi e consegnare parte della refurtiva. Bonalumi risalì sull’autovettura felice come una pasqua: “Con questi dobbiamo fare metà a testa, mi hanno tenuto tre ore per spiegarmi come le fanno. Vedi questa è di cinghiale. Questo è cotechino e lo devi mettere sul sugo!“.
Per la Squadra Mobile, “i due si riferivano alla ricompensa avuta in cambio della restituzione di parte della refurtiva. Si trattava di un maiale da dividere. Pare infatti che il deputato abbia potuto avere un ruolo di intermediazione per far recuperare una parte della refurtiva in possesso della banda e che per questo abbia fatto elargire loro un generoso compenso”.
La figlia assunta alle Poste
Sempre nel 2015, Di Gioia finì al centro di un’altra inchiesta giornalistica che fece emergere la vicenda dell’assunzione della figlia, Silvia, a Poste Vita come specialist in “previdenza e assistenza”, gli stessi argomenti di cui si occupava da presidente della Commissione parlamentare, e l’affitto da parte della moglie di un appartamento di proprietà dell’Enpam, la cassa di previdenza dei medici. Ora la sua sorte è appesa alla decisione della Giunta per le autorizzazioni.