Nelle 78 pagine dell’ordinanza del Gip, Rita Curci, emerge chiaro il collegamento tra criminalità foggiana e romana. Un connubio inedito venuto fuori con l’operazione Goldfinger che ha portato all’arresto di 15 persone per il colpo al caveau del Banco di Napoli nel marzo 2012 a Foggia.
Olinto Bonalumi e Stefano Virgili (amico del boss della Magliana, Massimo Carminati) erano i capi dell’associazione. Definivano obiettivi, tempi e ogni piano delittuoso. Franco Papa e Federico De Matteis erano gli esecutori materiali e curavano i contatti con i complici.
L’esperto informatico era invece Paolo Izzi. Un soggetto in grado di disattivare sistemi di allarme e procurarsi strumenti elettronici sempre all’avanguardia. Venturo Ricchiuti e Antonio Caputo riciclavano il denaro rubato attraverso versamenti in svariati conti correnti e acquisti di beni mobili e immobili con assegni circolari. Stessa mansione di Patrizia Di Biase, moglie di Bonalumi. La donna acquistò due immobili (tra cui un palazzotto signorile) a Vico del Gargano in via San Giuseppe versando numerosi assegni da 5 e 10mila euro.
Infine, con la complicità di guardie giurate “amiche” come Domenico Di Sapio e Gennaro Rendine, all’epoca dei fatti dipendenti dell’istituto di vigilanza “Metropol”, e Gianluca Contini di “Black Security”, lo scacchiere dell’organizzazione criminale era compiuto. Le fasi di studio per il colpo al Banco di Napoli iniziarono nel novembre 2011 per poi chiudersi a marzo 2012 con il furto di almeno 15 milioni di euro dalle cassette di sicurezza.
Bonalumi in Bentley e la Mercedes al figlio

I sospetti su Olinto Bonalumi si concentrarono fin da subito. L’uomo, infatti, venne notato aggirarsi nei pressi della filiale in più circostanze. Qualche volta a bordo di una Audi A6, altre in una Bentley, entrambe con targhe della Repubblica di San Marino. Due macchine che non passano certo inosservate. Iniziò così un lungo lavoro di indagine durante il quale Bonalumi era costantemente intercettato. Su autorizzazione del Gip, l’uomo era monitorato anche quando faceva visita in carcere al figlio Fabrizio (in cella per rapina). Durante le conversazioni, venne fuori che Bonalumi, nonostante le auto fiammanti, non navigava nell’oro e aveva disperato bisogno di denaro. Problema risolto con il colpo al Banco di Napoli. Infatti, durante le registrazioni successive al furto, emerse che Bonalumi era impegnato ad acquistare beni di lusso che poi vantava al figlio durante le visite in carcere. “Ho speso 3.800 euro in vestiti e a te ho comprato una Mercedes SL a due posti pagata oltre 90.000 euro”.
I contatti con il gruppo dei romani
Nelle intercettazioni si palesano i continui contatti tra Bonalumi e un esponente di spicco della Banda della Magliana, Stefano Virgili al quale il malvivente foggiano si rivolgeva per piazzare merce proveniente dal caveau (“Io ti devo dare quelle cose”) e per studiare il colpo alle gioiellerie della “Mongolfiera”.
Fu proprio Virgili a contattare Paolo Izzi, l’esperto informatico, alias “Poldo” che avrebbe avuto il compito di disattivare o ritardare gli allarmi dell’esercizio commerciale di Foggia nell’agosto del 2012.
Il covo al ristorante
Virgili, Facchini, Bonalumi e De Matteis si incontrarono nel ristorante “La Villa” in via del Feudo d’Ascoli al Villaggio Artigiani per testare le apparecchiature elettroniche realizzate da Izzi. Sull’ordinanza si legge che il “La Villa” era gestito da Pasquale Amicarelli, soprannominato “Snaps”. L’organizzazione lavorava al colpo nei negozi “Sarni”. De Matteis comunicò a Bonalumi che alcuni plichi erano stati trasferiti alle gioiellerie. Informazione fornita da “U bell fatt”, identificato in Gianluca Contini, guardia giurata della “Black Security” che si occupava della vigilanza in “Mongolfiera”. Si trattava di pacchi contenenti oro usato per complessivi 20 kg, come confermato anche dall’imprenditore Antonio Sarni, sentito dalla P.G. il 5 ottobre 2012.
La sera del 20 agosto 2012 Bonalumi venne intercettato mentre raggiungeva l’abitazione di Fabrizio Di Stefano e Vincenza Dalessandro, quest’ultima responsabile per la Provincia di Foggia del gruppo “Sarni Oro”, detta “il Direttore” o “la femmina”.
L’appuntamento decisivo si tenne invece il 26 agosto in ristorante, dove ad attenderli c’era la Squadra Mobile. Bonalumi e De Matteis fuggirono mentre Virgili, Facchini e Papa vennero sorpresi all’interno del locale. Dentro il “La Villa” c’era tutto l’occorrente per i furti nei caveau.
In seguito sopraggiunsero Amicarelli e il figlio Antonio. I due spiegarono di non aver mai ceduto le chiavi ai malviventi disconoscendo tutto il materiale rivenuto nella struttura. In un’intercettazione, De Matteis riferì a Bonalumi che “Snaps” aveva sporto denuncia di furto. Di fronte a tale affermazione, Bonalumi manifestò grande sorpresa ed estremo disappunto. Anche perché i malviventi non forzarono alcuna entrata del ristorante dato che De Matteis era in possesso delle chiavi del cancello.
Lello Di Gioia e il maiale come ricompensa
Il nome del deputato Lello Di Gioia è presente nell’informativa della Squadra Mobile sulla quale risulta – stando ad un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica -, che l’onorevole si adoperò per far aver indietro una parte della refurtiva rubata al titolare di una delle tante cassette di sicurezza saccheggiate al Banco di Napoli.
Lello Di Gioia, che non risulta tra gli indagati, venne eletto nelle file del Pd e ora nel gruppo misto e presiede la commissione di controllo sugli enti di previdenza e assistenza sociale ed è membro della quinta commissione bilancio, tesoro e programmazione.
Di Gioia venne fermato una settimana dopo l’assalto al caveau, identificato dalla polizia lungo una strada di Foggia verso l’ora di pranzo, insieme con Bonalumi e altri pregiudicati coinvolti nel colpo. Ma la sua amicizia e il rapporto di mediazione con la gang – secondo gli investigatori – emersero con chiarezza solo due mesi dopo.
Fu una cimice sistemata nell’auto di Bonalumi e De Matteis a svelare il ruolo dell’onorevole nella vicenda. Il 4 maggio 2012 i due malviventi raggiunsero Di Gioia: “Dobbiamo portare i soldi a quello… all’onorevole. Ci sta aspettando”.
Arrivarono sotto casa del politico e Bonalumi, prima di uscire dalla macchina, disse a De Matteis: “A questo dobbiamo assolutamente lasciarlo perdere”. Passò quasi mezzora e il capo della banda tornò in auto. I due si allontanarono per tornare da Di Gioia poco più tardi e consegnare parte della refurtiva. Bonalumi risalì sull’autovettura felice come una pasqua: “Con questi dobbiamo fare metà a testa, mi hanno tenuto tre ore per spiegarmi come le fanno. Vedi questa è di cinghiale. Questo è cotechino e lo devi mettere sul sugo!“.
Per la Squadra Mobile, “i due si riferivano alla ricompensa avuta in cambio della restituzione di parte della refurtiva. Si trattava di un maiale da dividere. Pare infatti che il deputato abbia potuto avere un ruolo di intermediazione per far recuperare una parte della refurtiva in possesso della banda e che per questo abbia fatto elargire loro un generoso compenso”. Il deputato – ricorda Repubblica – all’epoca dei fatti non sedeva in Parlamento e non ricopriva incarichi pubblici, quindi non aveva nessun obbligo di denunciare la banda ma secondo il rapporto della polizia, conosceva e scendeva a patti coi delinquenti. Di Gioia si difende: “Mai avuto rapporti con la banda. Sinceramente cado dalle nuvole per il collegamento che è stato fatto, nonostante non sia nemmeno indagato”.