Ha rapito il pubblico del Teatro Garibaldi a Lucera ieri sera con “La più lunga ora. Ricordi di Dino Campana” il talentuoso Vinicio Marchioni. Il racconto della vita del poeta visionario e maledetto italiano, narrata in prima persona dallo stesso autore dei Canti Orfici, interpretato dall’attore, è tutto centrato nel manicomio di Imola dove lo scrittore ha vissuto l’ultima parte della sua vita. Ben 14 anni recluso in una stanza. Sul palco, accompagnato dalle musiche di Ruben Rigillo, Marchioni fa strada al dire bellissimo del poeta tra fogli e lembi di esistenza. L’Immediato lo ha intervistato prima del monologo, dopo la visione delle prove generali.
Marchioni, come nasce il suo interesse per la figura di Dino Campana, un poeta poco studiato e ricordato?
Nasce da un amore per la poesia, ho iniziato ad incuriosirmi alla vita di questo grandissimo poeta e ho scoperto che ha trascorso gli ultimi 14 anni della sua esistenza in una stanza di manicomio. Mi sono chiesto: che cosa fa un uomo per 14 anni per “sopravviversi”? Ho scoperto che ha una vita incredibile, si dice che sia arrivato fino a Costantinopoli con una tribù di zingari e sia stato in Sudamerica. Mi sono allora chiesto: cosa fa un uomo che ha fatto dei viaggi incredibili per il mondo e ha scritto quelle pagine di poesia rinchiuso in un manicomio? Mi è venuto allora di scrivere questo monologo, che è un modo di riassicurarsi al proprio esserci, quasi ad assicurarsi di averla vissuta realmente quella esistenza. È un monologo che ripercorre tutta la vita, compresa la storia d’amore con Sibilla Aleramo, la prima poetessa italiana, che in realtà andandola a studiare meglio non è stata una storia d’amore, ma è stata una folgorazione, un amore bruciante tra due essere umani problematici, che è dire poco, che si è consumata in 6 mesi.
Anche al cinema, col film nelle sale “Quanto basta”, interpreta un personaggio con problemi neurologici.
Sì, sono uno chef con problemi di aggressività, una caratteristica che lo unisce a Dino Campana. Il cuoco deve scontare l’ultimo mese di pena ai servizi sociali e lo mandano ad insegnare cucina in un centro di assistenza per ragazzi con la sindrome di Asperger, una neuro diversità. Tra questi c’è un ragazzo che ha un talento straordinario, riconosce qualsiasi gusto ed ingrediente, mixandoli perfettamente. Nasce un’amicizia che darà una grossa mano al mio personaggio, sovvertendo l’idea dello sguardo sulla diversità.
Le sta stretto il personaggio del Freddo? Molti fan la ricordano principalmente per quel ruolo Sky.
Molte persone mi riconoscono anche per altri ruoli e non soltanto per il Freddo di Romanzo Criminale, chiaramente per la maggioranza di persone che vedono soprattutto serie tv e vanno meno al cinema o al teatro rimarrò quel ruolo lì, ma comunque è grazie a quel ruolo lì che ho fatto 23 film in 8 anni e 6 tournee teatrali e sono qui. A quel ruolo rimarrò legato per sempre e fortunatamente non ha ostacolato per niente tutto quello che ho fatto successivamente.
Nel prossimo futuro ci saranno altre serie tv da mescolare a ruoli teatrali più impegnati?
Per adesso no, adesso è uscito Quanto basta, poi dovrebbe uscire un altro film che ho recitato insieme a Marco Damore e un altro a fine anno, però sono tutti prodotti per il cinema. Finché non arriva una serie tv che per lo meno sia sullo stesso livello di Romanzo Criminale sarà molto difficile per me tornare alla tv.
Ha scelto di accettare l’invito del direttore artistico Fabrizio Gifuni per la stagione lucerina PrimaVera ed è stato protagonista del videoclip di Vasco Rossi, girato tra Apricena e il Gargano. Che rapporto ha con la Puglia e con la Capitanata? Le collaborazioni con Gifuni continueranno anche in estate?
Assolutamente sì, anzi con la collaborazione con la Puglia è cominciata molto prima, ho fatto il primo film qui, “Amiche da morire”, girato in un’altra provincia. Ho partecipato al video di Vasco: è una terra straordinaria con un popolo straordinario, con un’accoglienza straordinaria ed un panorama naturalistico ed enogastronomico pazzesco. Credo che in questi anni siano stati fatti molti passi avanti incredibili nell’accoglienza cinematografica e teatrale. Sono felicissimo di essere a Lucera, in questo teatro meraviglioso perché un teatro che funziona, che riapre, riospita e che fa una stagione teatrale e musicale è sempre qualcosa che in un panorama globale italiano culturale e teatrale che si impoverisce di importante. Avere questa possibilità è meraviglioso, osservare ed esserci e vedere che c’è un attore straordinario come Fabrizio Gifuni che si adoperi perché qualcosa succeda qui non può far altro che unirsi con lui ed esserci.
Tornando a Dino Campana, il monologo è scritto da lei. Intervalla voci e momenti della vita del poeta. Come ha fatto ad evitare il cliché sulla malattia mentale? Sul palco spesso il manicomio, le allucinazioni, le accelerazioni psichiche, le associazioni, che si tentano di rappresentare da sani, inducono gli attori a recitazioni grottesche e caricate o al contrario ad esistenzialismi di maniera. Lei come si è preparato?
Non so nemmeno se sono riuscito a non cadere nel cliché.
No, non vi è caduto.
Grazie. Prima del disturbo mentale, ho cercato di mettere in scena un essere umano. I preconcetti sono quelli che abbiamo noi mentre osserviamo le persone e abbiamo già un’idea precostituita su qualsiasi tipo di essere umano che ci si trovi di fronte. Io ho cercato di mantenere uno sguardo più aperto possibile e ho tentato di mettere in scena veramente un uomo che ha fatto tantissimo per la poesia italiana e nel mondo. Ricordiamo che era il poeta preferito di Pier Paolo Pasolini, di Carmelo Bene. Molti autori americani lo citano: è un essere umano prima di essere uno che ha finito i suoi anni in manicomio e prima ancora di essere un poeta è un essere umano. Ho cercato di rimettere insieme i brandelli di memoria, è questa forse l’unica ricerca sullo squilibrio mentale. Così come ha riscritto, con brandelli di memoria, l’unica sua composizione poetica, i Canti Orfici.