Un nuovo nulla di fatto questa mattina al Comune di Foggia nel corso del vertice del centrodestra, dopo le dimissioni del sindaco Franco Landella. Il primo cittadino dimissionario non è tornato dalla sua vacanza, ha preferito non esserci, così alcune forze politiche, dalla Lega ai FdI passando per i tre dissidenti Pasquale Cataneo, Nicola Russo e Giuseppe Pertosa, hanno abbandonato la riunione. “Quanto accaduto nei giorni scorsi con la presentazione delle dimissioni, oltre ad avere motivazioni politiche, potrebbe avere altre sottese questioni di natura contabile rilevanti provenienti dal pronunciamento non positivo del magistrato, che ha in carico la procedura per il fallimento Amica, sulla proposta di transazione presentata che avrebbe ridotto la massa debitoria in capo al Comune di Foggia da 30 a 5 milioni di euro”, hanno spiegato i tre capitanati da Cataneo.
“Partecipare senza la presenza del sindaco sarebbe stato inutile. È come la Tela di Penelope, quel che noi intessiamo insieme a tutte le forze politiche, il sindaco lo disfa subito dopo. Continuiamo a reclamare l’azzeramento, solo da questo atto può nascere ogni successivo rapporto e mediazione”, è il commento alla nostra testata web del capogruppo della Lega Alfonso Fiore.
Presenti insomma insieme al presidente del Consiglio Luigi Miranda i centristi, rappresentati dall’immarcescibile leader Franco Di Giuseppe, che non sembra orientato a fare un passo indietro con i suoi due assessori, il capogruppo di Forza Italia Consalvo Di Pasqua insieme al numero due, il gattiano Paolo La Torre e l’ex sindaco Paolo Agostinacchio, il quale a l’Immediato non ha voluto esprimersi sull’opportunità delle dimissioni di Landella. “Si tratta di uno strumento sempre utilizzato dai sindaci”, ha osservato. Al vaglio delle forze politiche vi sono soprattutto i debiti fuori bilancio dell’Ente, che proprio Agostinacchio insieme a Mimmo Verile nel corso della sindacatura Mongelli studiò in una apposita commissione.
Il personale del Palazzo appare imperturbabile. “Sembriamo ripiombati negli anni di Ciliberti, che si dimetteva aspettando i 20 giorni”.