Morte di Giosuè Rizzi, cinque anni dopo. Arte e “redenzione” prima del sangue in via Napoli

Giosuè Rizzi sul balcone della sua abitazione in piazza Mercato
Giosuè Rizzi sul balcone della sua abitazione in piazza Mercato

Dipingeva quadri astratti e pensava di aprire un bar e un’agenzia di scommesse. Ma cinque anni fa, la mattina del 10 gennaio 2012, Giosuè Rizzi, il più noto esponente della mala a Foggia, trovò la morte ad un semaforo di via Napoli mentre era in auto con un amico, quest’ultimo rimasto ferito. In un libro “Giosuè Rizzi. Giudizio e Pregiudizio”, scritto con l’operatore culturale Angelo Cavallo, il “papa di Foggia” raccontò i suoi anni in cella ma anche il suo percorso verso la redenzione. Per questo aveva iniziato a dedicarsi all’arte grazie a un laboratorio di pittura messo su assieme alla compagna dell’epoca. L’uomo della strage del Bacardi in piazza Mercato, la stessa piazza dove viveva dopo la scarcerazione, voleva rimettersi in riga. Non secondo gli investigatori che non hanno mai creduto ad una storia stile Carlito’s way. Secondo l’allora capo della squadra mobile, Alfredo Fabbrocini, dietro quei quadri astratti si nascondeva la voglia del boss di tornare in pista: “L’omicidio è maturato nel mondo della criminalità organizzata – disse Fabbrocini alla Gazzetta nel 2013 -, il contesto riteniamo sia legato all’ingombrante presenza di un boss ritornato sulla scena dopo tantissimi anni di carcere. Boss o ex boss, la differenza era soltanto nella sua testa. La sua morte non ha scosso gli equilibri perché riteniamo che Rizzi non avesse riacquistato il potere che aveva invece indiscutibilmente negli anni ’80 e ’90. Considerata la sua fine possiamo dire che non ce l’ha fatta a riacquistare l’ex ruolo di capo indiscusso e la mancata reazione alla sua morte ci dà l’idea che non avesse più il peso specifico di una volta”.

La morte di Giosuè Rizzi, in via Napoli a Foggia, gennaio 2012
La morte di Giosuè Rizzi, in via Napoli a Foggia, gennaio 2012

La sua voglia di tornare al vertice della mala locale venne stroncata sul nascere dalla Società Foggiana, la stessa che lui aveva contribuito a fondare grazie alla benedizione di Raffaele Cutolo, “O Professore” della Nuova Camorra Organizzata e all’amicizia con Salvatore Annacondia (boss tranese poi pentitosi) che di Rizzi ha sempre parlato con grande rispetto criminale.

A cinque anni dall’agguato in via Napoli, restano ignoti i nomi dei mandanti e degli esecutori materiali dell’omicidio. Eppure nei mesi successivi alla scarcerazione, dopo 38 anni in cella, Rizzi era tornato a respirare l’aria di un artista qualsiasi e per farlo aveva scelto i luoghi della sua infanzia, in pieno centro a Foggia.
“Finalmente è felice ed ottimista – raccontava Angelo Cavallo, che oltre a scrivere il libro con lui diventò intimo amico del papa -. Lui mi dice sempre che dopo 40 anni in cui non si è fatto altro che parlare male di lui, ora si parla bene. Anche l’impegno nel laboratorio, che condivide con la compagna, gli ha restituito la voglia di ricominciare”.

Giosuè Rizzi ha avuto un passato burrascoso. Si è fatto 38 anni di carcere per strage, omicidio e mafia. Nonostante lui si sia sempre proclamato innocente, i tribunali lo condannarono. Questa però è un’altra storia: “È una storia umana – diceva ancora Cavallo – che io e lui non abbiamo avuto paura a scrivere nonostante sapessimo a cosa stavamo andando incontro. La storia di un uomo che è sempre stato considerato ai vertici della malavita foggiana. Chi ha letto il libro sa bene che è la storia della redenzione laica di Giosuè, della sua voglia di ricominciare e di capire come si sta dalla parte del bene”.

Implorava una seconda chance Giosuè ma nessuno ha mai creduto alla storia della redenzione. Tantomeno chi quel 10 gennaio 2012 lo crivellò di colpi ad un semaforo di via Napoli.