81 vittorie, 59 circuiti e 14 anni di carriera, Felice Gimondi, è una delle leggende del ciclismo italiano, uno dei sei ad aver vinto Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta spagnola, un campione completo, capace di tenere sul passo, di vincere in salita, a cronometro e anche in volata.
Classe 42′, nonostante la sua carriera sia coincisa in gran parte con quella del “cannibale” Eddy Merckx, il fenomeno più straordinario che questo sport abbia mai prodotto, è stato in grado di ottenere numerosi successi e, rispetto al belga, ha avuto anche una maggiore longevità ad alti livelli, avendo iniziato a vincere prima.
Ieri sera, sul palco della Ubik, in coppia con Maurizio Evangelista, coautore del suo libro autobiografico dal titolo “Da me in poi”, ha conversato di ciclismo, rivalità e vita con il presidente della Fondazione Banca del Monte, Saverio Russo, in occasione del Foggia Festival Sport Story in corso in questi giorni.
A queste pagine Gimondi non ha affidato solo il racconto delle sue imprese, che sono grandi sia da vincente sia da sconfitto. Ha riletto la storia del ciclismo del dopoguerra con la sapienza di un ultrasettantenne pieno di ricordi e di ironia. Per quanto le sue analisi siano taglienti, i giudizi netti, le parole di Felice non cadono mai nell’arroganza: la modestia, eredità della sua sana cultura contadina, non gli impedisce di essere autorevole. Ancora oggi marito, padre e nonno appagato dai suoi successi, dagli affetti e da tutto quello che ha saputo costruire in una vita senza capricci – quando parla di Merckx dice “quello lì”, come se volesse mantenere le distanze. E invece lui a Eddy vuole bene, ed è ricambiato; ogni tanto i due si vedono a fanno lunghe telefonate come vecchi amici. I rimpianti resteranno, ma sono nulla rispetto alla consapevolezza di aver segnato un’epoca, spartiacque tra il ciclismo degli eroi e quello dei marziani. Da lui in poi, è stata tutta un’altra storia.
“Nella vita bisogna essere preparati perché a volte il treno passa una sola volta. A me è capitato così, ero pronto, deciso e ho vinto il mondiale”, confessa Gimondi. Dopo che ho capito che il mio rivale era il numero uno, il più forte, ma questo non ha mai tolto il me la possibilità di riprovarci, cercare quella rivincita per tornare sul podio. Avevo paura sostanzialmente di pochi”.
“Il libro è una sorta di guida-tutorial per capire la storia di una generazione e società totalmente diverse e nelle quali invece, abbiamo trovato spesso punti divertenti. Il ciclismo è qualcosa di straordinario, direi che non ha mai perduto il suo appiglio e una sua riconoscibilità. Solo uno sport come il ciclismo poteva sopravvivere a se stesso, dopo i periodi di crisi che hanno messo in discussione la sua credibilità. Eppure oggi è ancora un grande sport popolare”, spiega Evangelista.
La leggenda sportiva di Gimondi non è impolverata dal tempo, il suo modo genuino di sfidare la vita è qualcosa che affascina ancora oggi. L’autorevolezza del campione si scioglie nella saggezza dell’uomo che ha sperimentato trionfi e cadute. Gimondi ha scalato tutte le montagne più terribili ma ha dovuto spesso arretrare davanti a un uomo in carne e ossa come lui. Con le sue imprese e vittorie ha fatto scrivere centinaia di pezzi alla rosea. E oggi è tra i nostri magnifici 12 del ciclismo.
Condò tra Mourinho, Guardiola… e Zemanlandia
Prima di Gimondi, il Festival Sport Story ha ospitato Paolo Condò, celebre ex firma della Gazzetta dello Sport, oggi opinionista Sky, che ha aperto, ieri pomeriggio, la due giorni di libri e autori della kermesse che mette l’arte al servizio del racconto sportivo, tra libri, teatro, film e immagini. Nello spazio antistante la libreria Ubik di Foggia, l’autore ha presentato il suo Duellanti (Baldini & Castoldi), un romanzo che delinea un duello perfetto, di pura arte estetica, come lui stesso definisce.
Guardiola vs Mourinho è uno scontro epico, una sorta di Iliade raccontata sui campi di calcio, ma anche la rappresentazione e il riassunto di altri duelli: da quello politico fra Barcellona e Madrid a quello tecnico fra Messi e Ronaldo. È l’aprile del 2011, quando il Barcellona e il Real Madrid si sfidano per quattro volte in soli diciotto giorni: una partita di campionato, una di Copa del Rey e due incontri decisivi per la Champions League.
“Le grandi rivalità come quella tra Pep e Mou è un duello che sta durando nel tempo e che ora si sta riproponendo in Inghilterra dopo il suo picco emotivo in Spagna. Sono semplicemente due personaggi che incarnano due visioni della vita totalmente opposte. È stato divertente e facile raccontare questo match nel mio romanzo, che sembrava si scrivesse quasi da solo. Loro compongono un duello perfetto. È pura estetica”, secondo Condò.
Non poteva mancare un passaggio sul Foggia: “Ho vissuto interamente la prima stagione di Zemanlandia. Venire a Foggia, significava festa, significava raccontare uno spettacolo calcistico di alto livello, che Zeman aveva portato a livello europeo. Foggia è stata un laboratorio. Ricordo bene anche il ritorno di Zeman sulla panchina rossonera per la terza volta (era il 2010, ndr), la squadra di Insigne (attuale giocatore del Napoli). Parlando di oggi, penso al felice periodo di De Zerbi, che ha portato un calcio divertente dopo tanti anni in questa città. Ora c’è il mio amico Stroppa e visti i risultati, mi permetto di dire che lui è la scelta giusta”, ha aggiunto Condò.
E sulla sua professione dice: “Io sono un privilegiato, quando giravo gli stadi per il giornale, le redazioni avevano i soldi per mandare i loro inviati fuori anche per diversi giorni. Ora non è più così. Io spero che si stia concludendo questa crisi della carta stampata. Credo, che cambiare nella vita faccia anche bene, ma ripeto sono solo stato un privilegiato, essendo entrato giovanissimo alla Gazzetta, che rimane il massimo come giornale , della carta stampata. Ringrazio Sky, perchè mi ha dato una splendida proposta lavorativa, che ha cambiato il mio ruolo ma senza scendere di livello”.
Duellanti non è un libro destinato solo agli appassionati di pallone, ma pensato anche per tutti coloro che amano le storie di sport raccontate da un punto di vista inedito. Alto, letterario, avvincente, l’opposto di un resoconto cronachistico, questo è il libro di Paolo Condò, con Guardiola da una parte e Mourinho dall’altra, allenatori che hanno dato la vita per la propria squadra, in una serie di incontri ravvicinati che hanno portato la tensione a livelli mai visti prima su un campo di calcio.