“La scarsa conoscenza delle specie ittiche ci impone di lavorare sulla promozione al grande pubblico delle eccellenze dei nostri mari. Inutile dire che la Puglia riveste in tale direzione un ruolo di prim’ordine, soprattutto dal punto di vista del cosiddetto pesce povero che, oltre alle qualità nutrizionali e alle straordinarie caratteristiche organolettiche, gode di un rapporto qualità-prezzo a tutto vantaggio del consumatori. La pesca e l’acquacoltura comunitaria non soddisfano i mercati dell’unione e circa la metà dei consumi di pesce del vecchio continente dipendono delle importazioni”. È il presidente della Coldiretti Puglia, Gianni Cantele, a commentare positivamente la proposta di risoluzione votata dal Parlamento europeo sulla tracciabilità dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura nella ristorazione e nella vendita al dettaglio dopo che vari studi hanno evidenziato livelli significativi di etichettatura scorretta dei prodotti ittici venduti sul mercato UE.
Il settore soffre la concorrenza sleale del prodotto importato dall’estero e spacciato come italiano, soprattutto nella ristorazione, grazie all’assenza dell’obbligo di etichettatura dell’origine. Ad oggi l’unico strumento per invertire la crescente dipendenza italiana dall’importazione che ha superato il 76 per cento è rappresentato dall’acquacoltura che, invece, viene penalizzata dalla mancanza di certezze e da una grave assenza di norme che ne consentano lo sviluppo.
Dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola, la frode è in agguato sui banchi di vendita in Italia dove più di due pesci su tre provengono dall’estero con il rischio evidente che venga offerto come Made in Italy pesce importato, anche perché al ristorante non è obbligatorio indicare la provenienza.
“Il settore della pesca in Puglia ha subito le ripercussioni di pratiche sempre più illegali e nocive per la salute umana– rileva Angelo Corsetti, direttore di Coldiretti Puglia – quali per esempio l’uso sempre più frequente del “catodo”, un prodotto chimico che, spruzzato sul pesce lo farebbe sembrare fresco, come appena pescato, anche quando invece non lo è magari perché importato dall’estero. La crisi del settore si trascina da 30 anni e ha causato la perdita del 35% dei posti lavoro e la chiusura del 32% delle imprese, una “rotta persa” da tempo dal settore con una governance debole ed incapace di gestire una politica di ripresa. Un mercato, quello del consumo del pesce, che aumenta, ma sempre più in mano alle importazioni. La produzione ittica derivante dall’attività della pesca è da anni in calo e quella dell’acquacoltura resta stabile, non riuscendo a compensare i vuoti di mercato creati dell’attività tradizionale di cattura”.
Di assoluto rilievo i numeri del settore in Puglia, il cui valore economico è pari all’1% del PIL pugliese e arriva fino al 3,5% se si considera l’intero indotto, conta 1500 imbarcazioni, 5000 addetti, 10 impianti di acquacoltura e mitilicoltura. Le aree vocate sono prioritariamente Manfredonia, Molfetta, sud Barese, Salento, dove il pescato più importante è costituito da gamberi, scampi, merluzzi, a dimostrazione del deficit produttivo, va rilevato che dal 4 luglio scorso l’Europa ha iniziato a essere dipendente dalle importazioni per coprire il proprio fabbisogno di pesce.
Proprio per valorizzare il pesce pescato e allevato nel nostro Paese mediante la creazione di una filiera ittica tutta italiana che tuteli la qualità e l’identità nazionale del prodotto, Coldiretti ImpresaPesca ha avviato iniziative pilota per la vendita diretta del pesce presso la rete di Campagna Amica.
La nuova frontiera in Puglia – secondo Coldiretti ImpresaPesca – è la piscicoltura in mare, realizzata con strutture semi sommerse poste al largo delle coste. Sotto il livello del mare vi sono gruppi di 2-8 gabbie in cui vengono tenuti i pesci, realizzate con materiali e con forme tali da poter resistere a condizioni meteorologiche estreme, facilmente sostituibili in caso di necessità. Un esempio di eccellenza è l’azienda Reho di Gallipoli, specializzata nell’allevamento di pesce in mare aperto. Il prodotto finale conserva le qualità alimentari dei pesci catturati piuttosto che dei pesci allevati; inoltre la circolazione dell’acqua è tale da diminuire notevolmente i rischi di impatto ambientale provocati dagli impianti a terra.