Il teatro si apre alla città e punta sui giovani: è questo ciò che è avvenuto con il laboratorio teatrale “Comizi d’amore e di guerra”, svoltosi tra il 17 e il 23 agosto grazie alla Bottega degli Apocrifi di Manfredonia, all’interno del progetto giovanile “Ri-generazione Apocrifi”.
Il laboratorio era aperto a chiunque avesse “tra i 14 e i 30 anni portati bene”, ma in realtà l’età era un limite solo formale. Le tematiche analizzate e rivissute all’interno del lavoro/laboratorio/spettacolo riguardavano l’appartenenza, il senso del “mi riguarda”,” mi interessa”. I testi utilizzati erano “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci, “Lettera ai cappellani militari” di Don Milani, “L’Arte di Strisciare” di Holbach e “Non voglio più morire”, un testo contro la guerra di Luis Ferdinand Celine.
Il laboratorio si è svolto nel teatro Comunale per i primi incontri, mentre il 21 e 23 agosto è stato riproposto in Villa Comunale, presso il Monumento dei Caduti. La città ha risposto positivamente, certo basita di fronte ai numerosi esercizi per prendere familiarità nello spazio, alle attività di movimento e canto che precedevano la lettura dei brani di Gramsci o Milani, e di fronte la piccola rappresentazione sull’arte del ricamare ed intessere ipocritamente i rapporti col padrone, basandosi sul testo di Holbach.
“Ciò che abbiamo fatto in questi giorni dei Comizi d’amore e di guerra è il teatro come contaminazione, come processo di partecipazione – afferma a l’Immediato Cosimo Severo, il regista del laboratorio -. Questa volta assieme agli adolescenti e a quelli che adolescenti non lo sono più e sono in un limbo tra ciò che vorrebbero, desidererebbero fare della propria vita e ciò che ancora li tiene al palo di un’attesa infinita”.
Considerando il periodo di fine estate e le temperature proibitive, la presenza di oltre settanta ragazzi è certamente un ottimo risultato per la prima iniziativa avviata dal progetto nato in seno alla Bottega, chiamato “Ri-Generazione Apocrifi”
Anche il tentativo di coinvolgere gli astanti, con sguardi, domande ed inviti alla partecipazione diretta è riuscito più o meno positivamente, pur se spesso sono venuti a crearsi sketch e dialoghi ai limiti del paradossale, a dimostrazione che la valenza culturale dello spettacolo/comizio non è stato sempre ben compreso.
“Abbiamo ri-generato il nostro modo di intendere (per qualche giorno, è chiaro) la purezza, di intendere il concetto di cittadino, anche di intendere il concetto di Terra, Patria, Casa – spiega Matteo Miucci, uno dei protagonisti del progetto Ri-Generazione Apocifi -. Ed è forse questo uno dei grandi compiti del teatro, riuscire a prendere temi grandi come l’indifferenza verso se stessi, gli altri e verso la propria città, come l’accettazione dello straniero non in quanto diverso ma complemento alla varietà del mondo, e farlo divenire terreno fertile alla semina comune, quella delle idee, quei piccoli semi impiantati con la dolcezza e la forza del lavoro insieme, di gruppo, agendo sulle proprie criticità, sulle proprie falle”.
Ma il laboratorio è riuscito a realizzare i suoi obiettivi? È riuscito a scacciare l’indifferenza, a sviluppare un senso di appartenenza verso ciò che si ha più a cuore, a far riflettere su grandi tematiche come il rifiuto assoluto alla guerra?
“Non so, di certo si è lanciato un input – risponde Domenico Samele, altro protagonista del laboratorio -. Settanta ragazzi che sbattono i piedi a terra però sono solo un principio e possono smuovere solo il pavimento intorno a 4 alberi della villa: non è abbastanza, ma è il principio. Per svegliare un’intera città addormentata ci vuole qualcosa di più forte, qualcosa che faccia vibrare il pavimento. Ci vuole un terremoto. È proprio questa l’immagine che ho avuto durante questo laboratorio: un principio di terremoto che tenta di svegliare coscienze addormentate. Chissà che attorno a quei 4 alberi qualcuno non sia stato svegliato dalle vibrazioni e non abbia iniziato a sbattere anche lui i piedi a terra per alimentare questo sciame sismico che forse, un giorno, risveglierà tutta questa città dal sortilegio che la imprigiona”.