
“È un assalto costante”. Non stacca mai gli occhi dal cellulare Vito Piazzolla, commissario dell’Asl di Foggia, l’azienda pubblica da oltre 1,2 miliardi di euro l’anno ereditata dall’ingegnere cerignolano Attilio Manfrini. Sente già la “pressione” di un ente con 6mila dipendenti e problemi a non finire. Dice di sentirsi “istituzionale” quando gli chiediamo se senta la sua poltrona provvisoria o definitiva. “La differenza tra commissario e direttore generale, in punta di diritto, non c’è: tutte le cose che potrò fare – con tutte le cautele del caso – le farò. Il programma lo scriverò anche se starò qui solo 2 mesi”.
Dottor Piazzola, che azienda ha trovato?
Un’azienda complicata, più che complessa. La differenza è netta per chi si occupa di organizzazione. La complessità produce valore, ma serve coordinamento, altrimenti si creano solo conflitti. Qui ci sono alcuni casi limite, penso alla qualità della tecnostruttura. Ma non è un problema solo di Foggia, stiamo scontando il mancato ricambio di una parte della buona classe dirigente degli anni Novanta.
Questa però non è una novità, qui ci sono sempre stati problemi con la tecnostruttura, con arresti e scandali di ogni genere. Il suo predecessore ci ha provato, scegliendo gli uomini che riteneva più affidabili. Questa sarà la sua stessa squadra?
Questo non lo so. Quanto alla squadra (si blocca per rispondere ad un sms)… Io intanto sto studiando la situazione perché sono qui da una decina di giorni, al netto delle tre riunioni che abbiamo fatto in assessorato a Bari tra Dief, bilancio e Santaservice. La sera vado via alle 20 e 30 per cercare di incontrare tutti, per ascoltare le istanze. Ma qui c’è anche l’atteggiamento irritante di chi bussa e chiede. Una volta avuto il quadro, creerò il sistema di competenze professionali di supporto.
Rispetto alle persone già al servizio, ha maturato qualche valutazione?
No, è tutto in via di definizione. Però bisogna sottolineare che è un settore depauperato, uno perché tutti devono fare tutto, e poi perché in Italia non c’è mai stata una scuola di pubblica amministrazione all’altezza per formare professionisti idonei a gestire questa complessità. Il grosso vantaggio del piano di rientro è stato il fatto che moltissime persone sono andate in pensione, e questo ha agevolato le procedure di snellimento. Ma il blocco del turnover è stato devastante.
Ha un’idea delle emergenze, delle sacche di carenza più evidenti?
Credo che risiedano proprio nel principio di decentramento, di prossimità delle cure. Voi avete un territorio variegato, che ha bisogno di determinati servizi. Anche in questo leggo la complessità dell’azienda.
A che punto è il processo di territorializzazione dei servizi?
Le procedure sono avviate, i fondi europei sono stati ben spesi, anche rispetto all’emergenza sul Gargano. Sto monitorando tutti i lavori che dovranno essere portati a conclusione entro la fine dell’anno.
Per Manfrini potevano esser chiusi i 4 ospedali (Cerignola, San Severo, Lucera e Manfredonia). È d’accordo con questa visione?
Non so se si potevano chiudere tutti e 4. Ci sono dei livelli di prossimità che comunque bisogna garantire alla cittadinanza, però è evidente che i punti di riferimento dell’eccellenza debbano rimanere Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo e gli Ospedali Riuniti di Foggia.
La qualità dei servizi si misura anche attraverso la mobilità passiva, i viaggi della speranza dei foggiani verso le altre province e regioni. Quanto pesa il fenomeno sull’Azienda?
Non lo so, non posso ancora dare il dato preciso. So che i numeri sono importanti in tutta la regione. il problema vero però è l’indice di ospedalizzazione troppo alto, perché non ci sono le strutture di “contenimento”, capaci di evitare l’arrivo in nosocomio per problemi banali. Con il progetto Nardino abbiamo provato a dare una risposta a questo, creando delle “reti di assistenza” per prendere in carico i pazienti.
Un progetto ambizioso fortemente sponsorizzato dal governatore Vendola. Avrebbe dovuto rappresentare la risposta ai bisogni di salute dei Monti Dauni. Che risultati ha prodotto?
Mi pare sia costato 4 milioni di euro, non molti. L’abbiamo messo a frutto in quasi tutti i 22 ospedali in riconversione, ed è ancora in corso. Il percorso in Capitanata si è un po’ arenato, ma deve continuare. In generale i risultati sono eccellenti, perché da progetto – con un termine – è diventato programma. Un sistema così dà risultati solo se collaborano tutti, dai medici di medicina generale, agli specialisti, passando per gli assistenti sociali, gli infermieri e gli ospedali. Si è inceppato per le resistenze di alcuni: quando diciamo a qualcuno di spostarsi dal suo posto scatta la resistenza passiva al cambiamento. Per di più non si sono avviati i processi sindacali per questa “rivoluzione”.
E i risultati?
Sono state prese in carico quasi 4000 persone. Adesso c’è un evoluzione a Lecce, che è il punto nodale, selezionato nell’ambito europeo dell’E-care, con l’obiettivo di arrivare monitorare i pazienti direttamente a casa. Si tratta di processi lunghi però, che richiedono anche competenze specifiche, come gli “infermieri manager”.
Vista la carenza di infermieri in generale, non le sembra un’idea poggiata su piedi d’argilla?
Noi non vediamo l’ora di terminare il programma operativo e finire quest’altro triennio e ricomporre le dotazioni organiche in maniera diversa. Le deroghe che abbiamo avuto – circa una quindicina di infermieri – non bastano assolutamente, visto che abbiamo emergenze per le sale operatorie, soprattutto per gli anestesisti. Per di più sempre nelle aree critiche, come le cardiologie. Manfrini ha dovuto fare i salti mortali su questo. Si fa fatica a rispondere ad esigenze nuove, penso all’emergenza degli anziani non autosufficienti, con una popolazione di ultra 85enni passata in Puglia da 63mila persone nel 2004 ad oltre 100mila nel 2014. Basti pensare che un paziente in questa fascia costa 2200 euro se stabilizzato, mentre se non autosufficiente il costo aumenta di 10mila euro.
A proposito di costi, che idea ha della sanità privata? Davvero si può entrare in conflitto per 2 milioni di euro, le risorse chieste dagli imprenditori per far fronte ai bisogni di cura di strutture che spesso sono più attrattive degli ospedali pubblici?

Non c’è nessun problema nella sanità privata. Ci siamo già incontrati, secondo me lo scontro messo in atto nel passato è ricomponibile. Qualche giorno fa c’è stato un incontro sulla San Michele di Manfredonia, abbiamo preso 15 giorni per continuare l’interlocuzione con la Regione Puglia, poi daremo al prefetto le controdeduzioni su quello che è venuto fuori. Sto cercando di capire quali operazioni si possono compiere per garantire alcune condizioni: che le prestazioni non vengano interrotte, di conseguenza per garantire il lavoro delle persone – e non farli aspettare per i pagamenti -, oltre a rispettare le aziende che stanno garantendo tutto questo. Su questo, mi impegnerò sino in fondo.
In che modo? Perché Manfrini non pare esserci riuscito…
La questione è ricomponibile nell’alveo delle opportunità del Dief (documento di indirizzo economico funzionale) e delle norme. Ho detto, quando ci siamo incontrati con gli imprenditori della sanità privata, che per uscire dalla logica dei costi servono sinergie: bisogna evitare ridondanze e puntare su prestazioni più adeguate.
Quindi qual è il ruolo della sanità privata?
Quello di complementarietà al pubblico, così come lo sono i servizi esternalizzati, penso alle Adi (assistenza domiciliare integrata) per esempio.
Che idea ha invece della Sanitaservice?
Lì sono stati esternalizzati i livelli che potevano essere esternalizzati.
Solo che la società in house nasce per ragioni opposte, cioè di internalizzare i servizi…
Loro sviluppano una serie di cose, è un supporto al direttore generale dell’azienda. La prossima settimana ci sarà un incontro con i sindacati, perché stanno definendo delle linee guida.
In realtà linee guida e regolamenti delle aziende ci sono già. Non crede che basterebbe far rispettare le regole che già esistono?
Certo, ne sono convinto. Per esempio, ci si può rivolgere alle agenzie interinali, perché non si può interrompere un servizio pubblico, solo che poi col tempo bisogna fare in modo che quelle agenzie abbiano tutti i cardini contrattualistici, di regole e norme, adeguate alle esigenze dell’azienda.
Quindi non è vero che bloccherà le nuove assunzioni?
Non l’ho mai detto. Non c’è nulla di strano a rivolgersi alle agenzie per incarichi a tempo determinato finalizzati alla sostituzione di personale, quindi ciò che è stato fatto finora è possibile.
Negli ultimi tempi si sono creati degli imbarazzi per la candidatura alle regionali di Pippo Liscio, uomo chiave della Sanitaservice e per la progettazione di opere pubbliche. Vorrebbe dargli qualche consiglio?
(sorride). Io dovrei dare qualche consiglio a Pippo Liscio? No, non mi occupo di politica, ognuno fa le sue scelte.
Per qualcuno lei è un vendoliano doc. Lo conferma?
Buono a sapersi. Nichi Vendola l’ho incontrato dopo la nomina, e c’è un aneddoto curioso che voglio raccontare. L’incarico all’Asl di Foggia non era nemmeno nei miei pensieri più remoti. Ero a Roma quel giorno, il primo aprile, quando mi hanno intercettato per riferirmi la cosa. Pensavo fosse un pesce d’aprile. Vendola lo avevo incontrato 3 o 4 volte. Il 2 sono rientrato e ho visto la delibera. “Se tu accetti vai a Foggia”, mi hanno detto. “E quanto tempo ho?”, gli ho risposto. “Due ore”: all’una ho firmato la delibera.