Uno dopo l’altro cadono inermi pini ed eucalipti nel Bosco Incoronata, il più importante d’Europa se si fa riferimento alle pianure. Dietro l’abbattimento tuttavia, non ci sono interessi speculativi, ma un progetto comunitario il cui nome suona come un ossimoro: “Life”, vita.
A pagar pegno le specie considerate “non autoctone”, piantate negli anni Cinquanta, e dunque non appartenenti all’ecosistema originario. Al loro posto, una serie di pianticelle alte 15 centimetri che fra centinaia di anni saranno delle grandi querce pronte a far risplendere i fasti dell’epoca di Federico II. “È assurdo, stanno buttando giù una parte del bosco, per fare cosa?”, spiegano a l’Immediato alcuni esponenti del comitato per la salvaguardia degli alberi. “Nel passato sono stati fatti esperimenti di questo tipo, ma non hanno avuto il successo sperato perché non c’era nessuno a curare le piante e sono morte…”.
Nel progetto europeo, che ha subito alcuni stop and go al comune di Foggia, c’è l’affidamento dell’appalto ad una ditta che dovrà piantumare e curare la crescita delle querce, occupandosi anche della pulizia del sottobosco. Ecco perché, secondo l’ideatore dell’operazione, il consigliere comunale e presidente del Centro studi naturalistici Vincenzo Rizzi, alla base delle rivendicazioni “non c’è nulla di scientifico, ma solo i mal di pancia di alcuni grillini scontenti (alcuni erano nel gruppo del consigliere, NdR)”. Complessivamente, per ridare “lustro” al bosco e permettere una “naturale conservazione”, sono stati destinati circa 1,2 milioni di euro.
“Sono sempre convinto della bontà dell’operazione – afferma Rizzi -, anche perché la piante non autoctone sono coese, hanno la stessa età, e moriranno tutte assieme. Per di più, le specie esotiche non hanno la capacità di ospitare la fauna locale minima, già con i primi interventi si vedono i risultati, con l’avvistamento di alcune gru che da queste parti non si vedevano da diverso tempo. Certo, ci sarà un impatto visivo importante nel breve periodo, ma bisogna risolvere l’impostazione sbagliata che è stata data alcuni decenni fa, secondo la quale questo doveva essere un bosco produttivo per la cellulosa”.
Gli effetti della mano dell’uomo, secondo gli ideatori del progetto contestato da una parte degli ambientalisti, sarebbero stati nefasti. “Per questo – prosegue Rizzi -, ci saranno diverse tipologie di intervento: si creeranno radure interne nel bosco (per evitare l’’inquinamento genetico’), che interesseranno complessivamente 40 ettari circa, con un’intensità di taglio medio bassa, per poi piantumare le altre piante. Inoltre, si interverrà sul corso del Cervaro per contrastare le condizioni di degrado attraverso l’accelerazione dei processi di crescita di pioppi e salici”. La scientificità dell’operazione troverebbe riscontro nella complessità delle fasi di approvazione del progetto su più livelli. In Italia, a spuntarla nella contesa a Bruxelles in quel periodo, sono state soltanto una decina di idee. “Il problema serio – ammette Rizzi -, di cui nessuno parla, è la necessità della riperimetrazione del parco, questione che doveva essere sollevata dopo le modifiche della Regione Puglia volute da Pino Lonigro e Michele Losappio. Questo bosco vive perché c’è acqua. E poi non mi sembra che finora si sia mai posto il problema del bracconaggio e dei rifiuti. Non c’è l’adeguato controllo del Comune – tramite la Polizia municipale – e del corpo forestale”.
E ancora: “Bisogna estendere l’estensione del bosco, circondato da 5-600 ettari di terreni agricoli che al momento lo vincolano. All’orizzonte, peraltro, ci sono gli interventi sull’alta velocità – probabilmente in località Giardino – per i quali si rischia l’isolamento definitivo dell’area naturale”. Tra chiazze quasi radenti al suolo e progetti contigui al perimetro del sito di interesse comunitario, cosa resta del bosco dei foggiani? Non molto, a meno che non si abbia la pazienza di attendere decine se non centinaia di anni. I cosiddetti “tempi della natura”.