Continua l’impegno del Club Unesco Cerignola per la valorizzazione del fiume Ofanto. Anche quest’anno, nell’ambito della nona e ultima edizione della settimana Unesco dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, il sodalizio capitanato da Giovanni Martiradonna ha dedicato al suo fiume la tre giorni di educazione allo sviluppo sostenibile conclusasi ieri. Ad inaugurare le iniziative, lo scorso sabato, l’appuntamento dedicato alle scuole primarie cittadine, “Aufidiamoci-percorso educativo emozionale sul ponte del fiume Ofanto”, che ha condotto i giovani studenti ai piedi del ponte romano, tra Cerignola e Canosa. Nei locali del laboratorio urbano “ExOpera”, si sono svolti, invece, gli appuntamenti convegnistici per celebrare la chiusura del Decennio Unesco di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2005-2014. Dopo l’incontro di martedì scorso, che ha visto la partecipazione dei Gal, Piana del Tavoliere e Vulture Alto Bradano, ieri si è discusso del patto della Val d’Ofanto, tra programmi e prospettive di sviluppo. A condurre le riflessioni, i relatori Giuseppe Carlone, docente al Politecnico di Bari e storico di Urbanistica, e Mauro Iacoviello, responsabile per la Provincia BAT del Parco naturale del Fiume Ofanto, nonché socio del Club Unesco di Canosa di Puglia.
Con un excursus dalla cartografia antica a quella ottocentesca, evidenziando l’indispensabile ruolo della Dogana delle Pecore di Foggia nella misurazione dei territori, Carlone ha mostrato come l’Ofanto continui ad essere “matrice di paesaggio”. Preziosa, e non del tutto nota, a tal proposito, per ricostruire la storia del bacino fluviale, è la poderosa documentazione sul Fiume Ofanto custodita presso l’Archivio di Stato di Bari.
I confini della storia recente del fiume che attraversa tre regioni (Basilicata, Campania e Puglia) sono quelli del Parco regionale nato sulla carta con la legge regionale numero 37 del 14 dicembre 2007. Istituito, perimetrato, vincolato e mai costituito nei suoi organismi tecnici e istituzionali, solo recentemente ha trovato nella Provincia Bat il suo ente gestore, anima dell’operazione di recupero dell’identità ofantina. È, in estrema sintesi, l’obiettivo che intende raggiungere il Patto Val d’Ofanto. Costituisce lo scenario strategico di riferimento per le azioni dei soggetti pubblici e privati, sottoscrittori di una visione comune di sviluppo sostenibile dell’intera Valle dell’ Ofanto, culla di 51 comuni, per una popolazione complessiva di 420mila abitanti. Un documento che segue il precedente accordo di Melfi, del luglio 2009, e pone l’accento sul “Contratto di Fiume”. “Abbiamo pensato al Contratto di Fiume come a un programma di sviluppo territoriale, e non semplicemente di tutela, coniugando la componente ambientale con quella economica, suscitando l’interesse delle programmazioni su fondi Fesr di Puglia, Basilicata e Campania”, ha spiegato l’architetto Iacoviello. Si occupa da vent’anni del fiume Ofanto e ha preso parte al nono tavolo nazionale dei contratti di Fiume che si è tenuto a Venezia.
“È un processo partecipativo, una specie di Agenda21 dedicata al fiume Ofanto, un bacino grandissimo, interregionale, che tiene dentro tre Regioni, quattro Province e cinquantadue Comuni. La finalità del Contratto di Fiume è dare un’anima al piano di bacino, ridisegnando un nuovo rilancio della questione meridionale”. Una sfida complicata soprattutto dalle difficoltà, avverte il dirigente, di “chiedere alle tre Regioni di trovare un momento di confronto sul confine amministrativo del fiume Ofanto”. Una riflessione che includa ogni aspetto patrimoniale dell’Ofanto, a cominciare dalla sua matrice rurale, quella componente agricola fatta di borghi lungo il fiume, da Moschella a Loconia e Santa Chiara, per cui “parlare di Parco naturalistico è riduttivo, perché è anche un Parco agricolo”. Complessa è la gestione, ha sottolineato, infine, anche per i multilivelli di attenzione sul luogo del fiume Ofanto, interessato dal progetto Life di rinaturalizzazione della foce dal valore di 2milioni di euro, a rischio.