
Avevano pensato persino di mettere in piedi un “tavolo tecnico per la riduzione della mobilità passiva”. Anche da questo “snodo epocale” – così l’avevano definito – doveva passare la nuova sanità di Nichi Vendola, che avrebbe messo in soffitta la concezione “ospedalocentrica ottocentesca”, per puntare dritto ai servizi territoriali. “Porteremo le cure nelle case dei pugliesi”, ha spesso ripetuto il leader di SeL, affiancato negli anni da una serie di assessori, da Alberto Tedesco, passando per Tommaso Fiore ed Ettore Attolini, sino ad Elena Gentile.
A distanza di qualche anno, però, gli ospedali sono stati chiusi (18 in tutta la regione), i servizi territoriali non si vedono, manca il personale nei reparti e aumentano le tasse (vedi il ticket di 2 euro per prenotare le visite specialistiche in farmacia). Sullo sfondo, la grande fuga dei cittadini verso gli ospedali delle altre regioni, che alimenta un surplus di spesa impressionante, visto che la stessa prestazione, effettuata fuori dalla Puglia, arriva a costare fino al triplo.
Così, non solo i pugliesi devono metter mano al portafogli per il viaggio e, in alcuni casi, l’alloggio. Ma devono sborsare più di 270 milioni di euro per la cosiddetta “mobilità passiva extraregionale”. Una piaga per il sistema nient’affatto risolta. Leggendo i dati ricavati dai bilanci 2013 delle Asl, ci si rende conto del continuo aumento della spesa. A spiccare in questa classifica poco rassicurante, l’azienda foggiana, che nel 2013 ha portato la spesa a 65.773.000, in aumento di quasi 5 milioni di euro rispetto al 2012 (60.767.000). L’incremento è avvenuto perlopiù per l’assistenza ospedaliera (circa 2,5 milioni) e la specialistica (stessa cifra). In gran parte i cittadini si sono spostati in Molise, a Campobasso, per ottenere prestazioni più veloci, per le quali in Puglia avrebbero aspettato diverse settimane (se non mesi) viste le lunghissime liste d’attesa.
A ridosso, leggermente distanziata, l’Asl di Bari, con un incremento di spesa da 53,7 a 59,4 milioni di euro. Anche in questo caso, a pesare è l’assistenza ospedaliera e specialistica; mentre nella farmaceutica, nella somministrazione diretta e nei trasporti sanitari la situazione è sostanzialmente invariata. A Lecce si superano i 53 milioni di spesa, con un aggravio di quasi 6 milioni tra il 2012 ed il 2013. Poco meglio a Taranto, dove si passa da 40 a 42 milioni di euro. Tre milioni in più anche a Brindisi (da 22,8 a 25,6), mentre la Bat ancora non comunica i dati che, nel 2012, facevano registrare una spesa di 23 milioni di euro. Se venisse confermata la cifra (ma la sensazione è che ci potrà essere un aumento, in linea con le altre province), il costo complessivo per i viaggi della speranza sarà di 270 milioni di euro. Altrimenti, ci si avvicinerebbe pericolosamente ai 300 milioni. Una cifra monstre che, al massimo, la “rivoluzione” fa farla agli altri. Negli ospedali delle altre regioni. Tutto il contrario delle “cure a casa” promesse da Vendola qualche tempo fa.