“Con la chiusura degli ospedali psichiatrici si rischia di rimettere in libertà persone socialmente pericolose”. L’allarme dei giudici, dopo l’approvazione in Senato di un comma alla legge 81 del 2014 (superamento degli Opg entro il 31 marzo 2015), riaccende la discussione sulle “misure alternative” per lo sconto delle pene. Dopo la scadenza dei termini fissati per legge, entreranno in funzione le cosiddette “Rems” (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). In buona sostanza, i “mini Opg” sui quali stanno puntando diverse regioni, Puglia compresa. Una rete di associazioni nazionali (“StopOpg) ha già lanciato l’allarme: “Bisogna dire no alle nuove strutture speciali che si stanno progettando nelle regioni e nei quali trasferire e rinchiudere di nuovo gli internati. Con il rischio che si aprano al posto dei vecchi manicomi giudiziari, nuovi piccoli manicomi regionali, dove il compito dello psichiatra e degli operatori ritorna ad essere il controllo sociale”.
Per di più, ci sarebbe la necessità di garantire la “sicurezza sociale” dopo il periodo di presa in carico da parte delle Rems. Stando alle preoccupazioni degli ambienti giudiziari, infatti, con la disposizione introdotta dal Senato, al comma 1 quater, viene disposto che sia le misure di sicurezza detentive (provvisorie o definitive) che i ricoveri nelle nuove strutture regionali, non possono protrarsi per una durata superiore al tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, fatta eccezione per i reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo. Per questo, i giudici dovranno revocare le misure di sicurezza per gli internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo della pena edittale, senza che vi sia nessuno che se ne faccia carico in concreto. Il risultato sarebbe disastroso: soggetti ad alta pericolosità sociale potrebbero finire fuori dal carcere senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie. Con gravi conseguenze sia per la salute dell’imputato, che per la sicurezza della collettività. Come se non bastasse, sino ad oggi non esistono dati compiuti sul numero di ingressi e uscite dalle strutture e le regioni, per la gran parte, non si sono dotate di strumenti efficaci di cura e controllo.
I nuovi “internati” nella Puglia di Vendola
Nel piano complessivo di riordino della rete ospedaliera pugliese, nessuno avrebbe mai immaginato rientrassero le Rems. Eppure, in un corposo documento, viene spiegato come verranno investiti oltre 10milioni di euro per 3 strutture dislocate su tutto il territorio: Torremaggiore in provincia di Foggia (20 posti letto con un costo per la riconversione dell’immobile dell’Asl di 3,5 milioni di euro), Ceglie Messapica a Brindisi (18 posti letto per un costo di quasi 3,8 milioni di euro) e Mottola a Taranto (20 posti letto con un costo per la riqualificazione di 2,9 milioni di euro). In tutti questi comuni erano presenti gli “ex ospedali” chiusi dal Piano messo a punto ai tempi dell’ex governatore Raffaele Fitto (centrodestra) e portato a compimento da Nichi Vendola (sinistra). I tre nuovi mini Opg serviranno ad assorbire poco più del 12 per cento delle persone attualmente ospitate dai 6 centri nazionali. Difatti, i pugliesi sono 65, per gran parte (59) ospitati dall’ospedale giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A Torremaggiore, qualche tempo fa, i cittadini (già privati dell’ospedale “San Giacomo”) hanno lanciato una petizione popolare: “Le scelte della Giunta regionale non sono condivisibili, non c’è stata informazione sull’operazione e non ci sono state occasioni di confronto e concertazione democratica con il territorio. Soprattutto, non si comprende come essa possa essere funzionale al mantenimento di un sufficiente standard dei servizi socio-sanitari per i cittadini e quali vantaggi possono scaturire per un territorio già fortemente disagiato, con un tasso di criminalità crescente, ubicato quasi all’estremo nord della Puglia, al confine con la Regione Molise e che dovrà servire l’ampio territorio delle Province di Foggia e della Bat., preferito a Comuni molto più rispondenti allo spirito della stessa delibera della Giunta regionale e con potenzialità, mezzi e risorse superiori, specie per quanto concerne l’ordine pubblico e la sicurezza”.
Il caso italiano, poco più di 1000 persone negli Opg
Codificati con la sigla Opg, sono figli dei manicomi criminali dell’Ottocento, strutture in cui soggetti affetti da disturbi mentali che abbiano commesso reati penali, non scontano una pena, ma, benché prosciolti perché infermi di mente, sono sottoposti a una misura di sicurezza. Alcuni degli internati sono individui prosciolti per vizio totale di mente, dichiarati socialmente pericolosi e per questo, “evitando” la carcerazione vengono accolti in Opg. Altri ancora, considerati semi infermi di mente e socialmente pericolosi, vengono processati e condannati, ma considerando la pericolosità sociale questi possono essere obbligati a una ulteriore misura di sicurezza.
Altri sono i condannati, individui giudicati in grado di intendere e di volere, già reclusi in carcere che durante l’esecuzione della pena sono colpiti da infermità psichica. Queste categorie rappresentano circa il 90% della popolazione degli Opg. La rimanente piccola parte è costituita da condannati con vizio parziale di mente, imputati detenuti in ogni grado del giudizio e condannati che vengono sottoposti a osservazione psichiatrica e, in ultimo, da imputati in attesa di giudizio definitivo ai quali sia stata applicata una misura di sicurezza provvisoria, in considerazione della loro presunta pericolosità sociale. Secondo l’associazione “StopOpg”, l’attuale numero di persone presenti nei sei ospedali psichiatrici giudiziari del nostro Paese si attesta a poco più di 1.000, dei quali oltre la metà potrebbe già oggi essere presa in carico dai Dipartimenti di Salute Mentale dei territori di provenienza. Semplicemente rendendo funzionali i Csm h24.
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