
La crescita del 3 per cento degli iscritti per l’Università “rosa” di Foggia (il 63 per cento degli studenti è di sesso femminile), potrebbe non bastare per la sostenibilità dell’ateneo di via Gramsci. L’apertura dell’anno accademico 2013-2014, la prima del rettore Maurizio Ricci, è un evento in chiaroscuro, tra proteste degli studenti e nuovi tagli all’orizzonte.
L’autonomia “impossibile” di Ricci
“Scongiurato il taglio di 2 milioni di euro rispetto al 2012, al nostro ateneo – ha esordito il rettore – è stata applicata prima una riduzione dello 0,32 per cento e poi dell’1,44 per cento. Oltre a questo, preoccupano le decisioni sul personale. Pesano, infatti, il penalizzante blocco del turnover (con la conseguente riduzione del 15 per cento dei professori) e i forti condizionamenti al reclutamento e alle progressioni di carriera”. La “perdita secca”di docenti e personale tecnico è solo uno degli effetti delle decisioni “disastrose” del governo negli ultimi anni, con la riduzione progressiva – da 5 a 1,6 miliardi di euro – delle risorse destinate. Certo è che la “autonomia universitaria – come ha precisato Ricci – non può giustificare sprechi ed abusi economici”, ma qualcuno dovrà pur spiegare come sia possibile continuare ad offrire un’elevata qualità dei servizi con tagli al personale del “14 per cento per i professori ordinari e degli associati, e del 7,5 per cento dei ricercatori”. La sfida è difficile, soprattutto se si considera il livello di contribuzione medio degli studenti: in Italia è di 1200 euro l’anno, in Puglia 710, mentre a Foggia soltanto 600. “Siamo una università ad elevato tasso di mobilità sociale, visto che una importante fetta di studenti proviene da famiglie con genitori non laureati – precisa il rettore dell’Unifg -. Il rischio, tuttavia, è quello di disperdere tutto il patrimonio creato, se si continua ancora a considerare il sistema universitario un costo, piuttosto che una risorsa necessaria per lo sviluppo economico del Paese. Solo così potremmo fermare il declino inesorabile verso il quale siamo proiettati”.
Da Foggia al mondo, la ricetta di D’Ascoli. E le proteste di “Link”
Con i dati disastrosi sulla disoccupazione giovanile, soprattutto nel Mezzogiorno, il consiglio non può che arrivare immediato: “Foggia può essere il punto di partenza di un viaggio di conoscenza verso il mondo, ma che non sia mai di sola andata…”. A parlare è uno dei laureati d’eccezione dell’Unifg, l’avvocato Silvia d’Ascoli, membro dell’ufficio del procuratore del Tribunale Internazionale delle Nazioni Unite per la ex Jugoslavia. “Personalmente credo molto nel valore che un’università come la nostra qui a Foggia può darci – afferma – e ci credo perché ho sperimentato e vissuto questo valore in prima persona. Vorrei tornare in Italia un giorno non troppo lontano e avere la possibilità di lavorare anche qui nel nostro Paese e nel nostro sistema, mettere in pratica anche qui in Italia ciò che ho imparato in questi anni di studio e di formazione professionale”.
Il messaggio, però, non è arrivato a molti ragazzi del sindacato “Link”, impegnati in una vigorosa e annunciata (LEGGI) protesta fuori dai cancelli della sede di via Caggese. Hanno chiesto a gran voce al rettore di poter entrare nell’aula magna per far presenti le proprie rivendicazioni al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.
Le preoccupazioni dell’assessore regionale Alba Sasso
“Il quadro fornito dall’Anvur non è dei migliori – ha spiegato l’assessore barese al Diritto allo studio -, i tagli sono drammatici. Siamo unico paese nel quadro OCSE che nel pieno della crisi ha disinvestito sull’istruzione. Torniamo a parlare di investimenti quando si parla di università, altrimenti sarà la fine. Non è un caso che già ora siamo l’ultimo Paese per numero di laureati: siamo stati superati dalla Romania. Le università pubbliche – ha continuato – rappresentano l’unico elemento per l’ascesa sociale. Di questo passo, si rischia di chiudere definitivamente il sistema pubblico di massa. Dal canto nostro – precisa – nel 2014 abbiamo previsto il potenziamento delle facoltà di ingegneria a Foggia e a Taranto attraverso un impegno preciso in bilancio”. Prima di lanciare il tema dei corsi a numero chiuso per la riflessione con il ministro: “I test sono diventati una vera e propria ‘corsa ad ostacoli’: il rischio è quello di creare una università di élite destinata solo a chi se la può permettere”.
Il ministro Giannini bacchetta gli accademici e lancia il “modello francese”
“Le scuole e le università sono fondamentali per arginare la crisi in atto – ha esordito il ministro toscano del Governo Renzi -, e per questo bisognerà impegnarsi a non toccare il sistema con i 700 milioni di tagli già previsti su diversi capitoli. Ma, dall’altra parte, bisogna precisare un aspetto che troppo spesso viene trascurato: la comunità scientifica deve sempre fare la sua parte, perché non si può fermare mai nella ricerca, nemmeno per un attimo. Dobbiamo interrogarci per capire se questo sia sempre accaduto”. Per questo, ha precisato, “le risorse, in termini premiali, devono andare là dove ci sono gli studenti, dove c’è la capacità di usarle, dove c’è la qualità e dove ci sono buoni risultati didattici e scientifici”. Prima di proseguire: “La responsabilità del Governo centrale non può, a mio parere, che concentrarsi sui fattori interni di debolezza, non su quelli di contesto e, in ordine di priorità sono tre: primo, l’indice di sostenibilità di bilancio che in molti atenei del Sud, non è questo il caso, sono ad oggi negativi e che denunciano la mancanza reale di copertura per il pagamento del costo del personale. A tal proposito – ha proseguito Giannini – vorrei tener conto anche dei gradi di virtuosità tendenziale di bilancio su base triennale e introdurre una flessibilità che risolva il secondo punto, cioè, le politiche di assunzione: una qualunque struttura complessa, se non ha la possibilità di ringiovanire e di rivitalizzare il proprio patrimonio di risorse e di intelligenze, è una struttura complessa destinata a morire per la propria complessità”.??Il terzo punto analizzato riguarda la nozione di “costo standard”, definito “l’elemento chiave per la svolta”: “Credo – ha detto il ministro a questo proposito – che questa partita, se viene ben giocata diviene un’occasione storica per riequilibrare il sistema e questo dobbiamo farlo anche con una condivisa volontà ed onestà intellettuale e pensare appunto che le risorse, in termini premiali, debbano andare là dove ci sono gli studenti, dove c’è la capacità di usarle dove c’è la qualità”. Quanto ai test d’ingresso, ha chiarito: “Per il numero programmato in alcune facoltà, come Medicina, non sono convinta che 60 domande in un giorno devono e possano essere il migliore strumento per selezionare gli studenti – ha affermato -. Ecco perché ritengo sia possibile guardare al modello francese, con il primo anno aperto a tutti ed una selezione rigorosissima ma successiva. Questo – ha concluso – può diventare un percorso ad alta selettività, finalizzato ad una giustizia funzionale alla meritocrazia”.