Nella tarda serata di ieri, un incendio ha distrutto l’auto della sorella di Marco Raduano, 42 anni, noto alle cronache come “Pallone”, ex boss del clan Lombardi-Scirpoli-Raduano di Vieste e oggi collaboratore di giustizia. Le fiamme sono divampate improvvisamente e, secondo le prime ricostruzioni, l’episodio sarebbe di chiara natura dolosa.
A domare il rogo sono stati i volontari della protezione civile, intervenuti con tempestività, ma non è stato possibile salvare il veicolo, ormai completamente avvolto dalle fiamme.
Ipotesi intimidazione per la scelta di collaborare
L’attentato, avvenuto nel cuore della notte, ha subito fatto scattare l’allarme tra gli inquirenti. I carabinieri, che conducono le indagini, stanno esaminando i filmati delle telecamere di videosorveglianza presenti nella zona per ricostruire con esattezza l’accaduto e risalire all’identità dei responsabili.
Tra le ipotesi al vaglio, una delle più forti è quella che collega l’attentato alla scelta di Raduano di collaborare con la giustizia, ufficializzata di recente dopo anni ai vertici della criminalità garganica. L’uomo, evaso clamorosamente dal carcere di Nuoro nel 2023, è stato successivamente arrestato in Corsica e avrebbe iniziato a fornire informazioni cruciali sull’organizzazione mafiosa operante tra Vieste, Monte Sant’Angelo e il resto del promontorio del Gargano.
Un segnale trasversale?
Le modalità dell’attacco – un’auto data alle fiamme nella notte, senza rivendicazioni né testimoni – richiamano le dinamiche tipiche della strategia del silenzio messa in atto da anni dalla criminalità organizzata locale: un modo per lanciare segnali, senza colpire direttamente chi ha scelto di parlare, ma minacciando il suo mondo più vicino, la famiglia, gli affetti. Il messaggio potrebbe essere chiaro: chi collabora paga, anche indirettamente.
Un territorio che brucia
L’incendio alla sorella del “pentito” Raduano si inserisce in un contesto ancora carico di tensioni sul Gargano, dove le ultime inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia hanno scoperchiato nuovi equilibri e spostamenti interni ai gruppi criminali.
Al momento nessuna pista è esclusa, ma la matrice intimidatoria appare evidente. Saranno ora le indagini, coordinate dalla procura competente, a fare luce su un episodio che rischia di riaccendere il fuoco mai sopito della guerra tra le batterie mafiose del promontorio.