La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Matteo Li Bergolis, figura storica e di vertice del clan mafioso dei Li Bergolis-Miucci-Lombardone di Monte Sant’Angelo. Il detenuto, attualmente in carcere per reati gravissimi tra cui associazione mafiosa, aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che, nel novembre 2024, aveva confermato la proroga del regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41 bis.
Una decisione, quella della Cassazione, che rafforza l’impianto cautelare costruito negli anni nei confronti del gruppo criminale dei cosiddetti “montanari” del Gargano, confermandone l’attualità del pericolo sociale.
“Ruolo apicale e legami non spezzati”
Nel dispositivo, i giudici della Suprema Corte richiamano i punti principali messi in luce dal Tribunale di Sorveglianza. In particolare, si sottolinea come Matteo Li Bergolis, 52 anni, continui a rappresentare una figura di vertice dell’organizzazione mafiosa da lui stesso ereditata insieme ai fratelli Armando, 50 anni e Franco, 47 anni. Un clan, un tempo guidato dallo zio Ciccillo Li Bergolis, ucciso nel 2009, ancora ritenuto attivo e pericoloso, oggi guidato dal boss reggente Enzo Miucci detto “U’ Criatur”, parente dei fratelli Li Bergolis, come attestato da una recente ordinanza del gip del Tribunale di Bari emessa nel settembre 2024.
Secondo la sentenza, non vi sono segnali di ravvedimento, anzi, “la relazione comportamentale documenta la minimizzazione dei fatti commessi” e la persistenza di una mentalità criminale. A ciò si aggiunge un’infrazione disciplinare commessa nel 2023. Nessuna prova, secondo i giudici, che la lunga detenzione abbia intaccato la capacità dell’imputato di mantenere legami con l’esterno o con la struttura mafiosa di riferimento.
La misura è preventiva, non punitiva
La Cassazione ricorda che il 41 bis non è una sanzione aggiuntiva, ma una misura preventiva che mira a “inibire i contatti del detenuto con la rete criminale di appartenenza”. Il suo mantenimento è legittimo se permangono segnali di pericolosità, anche in assenza di nuove condanne. E proprio la gravità del ruolo svolto da Li Bergolis nel sodalizio e l’attuale operatività del clan giustificano, secondo la Corte, il rinnovo della misura.
Richiamando anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, i giudici ribadiscono la compatibilità del regime differenziato con i diritti fondamentali, “a condizione che vi sia adeguata motivazione e la verifica della sua necessità”.
Rigettato anche il ricorso del fratello Armando
Il caso di Matteo Li Bergolis segue di poco quello del fratello Armando, anch’egli detenuto al 41 bis e anch’egli destinatario di un recente rigetto del ricorso presentato contro il rinnovo della misura. Entrambi rappresentano, secondo la magistratura, l’anima storica e strategica del clan dei montanari, responsabile negli anni di omicidi, traffico di droga e dominio militare sul territorio di Monte Sant’Angelo e dintorni. Con Armando e Franco in posizione anche più verticistica rispetto a Matteo.
Con questa decisione, la Corte rafforza l’impianto di contrasto alla mafia garganica, oggi al centro dell’attenzione nazionale per la sua espansione e violenza. E conferma che, nel caso dei Li Bergolis, la pericolosità resta un dato presente e tangibile, nonostante il lungo tempo trascorso in carcere. Matteo Li Bergolis sta scontando 26 anni per il processo “Iscaro-Saburo”, Armando 27 mentre Franco l’ergastolo.