È scontro aperto tra la Procura Generale di Bari e la corte d’appello che ha concesso, il 4 aprile scorso, gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico a Emiliano Francavilla, 46 anni, ritenuto al vertice del clan mafioso Sinesi-Francavilla della “Società foggiana”. Il boss, condannato in primo grado a 12 anni per il tentato omicidio del costruttore Antonio Fratianni, era detenuto al regime di carcere duro 41 bis fino a un mese fa.
La Procura Generale ricorre: “Domiciliari ingiustificati”
La procura contesta duramente la decisione e ha presentato appello al Tribunale della libertà, chiedendo che Francavilla torni dietro le sbarre. Per il pg, il provvedimento della terza sezione della corte d’appello non è sufficientemente motivato: non solo si tratta di un imputato ritenuto capo di un’organizzazione mafiosa, ma la misura concessa non prevede neanche il trasferimento fuori dalla Puglia, come accaduto in altri casi simili. Il boss si trova infatti ai domiciliari nel cuore di Foggia, “territorio di caccia” del clan.
La decisione sul ricorso sarà discussa nelle prossime settimane. Tuttavia, anche se il Tribunale della libertà dovesse accogliere la richiesta della procura, Francavilla non tornerebbe subito in carcere: la difesa impugnerà l’eventuale nuova ordinanza in Cassazione, congelando l’arresto-bis.
Il tentato omicidio e la confessione in aula
Francavilla è sotto processo con altri quattro imputati per il tentato omicidio di Fratianni, episodio aggravato dal metodo mafioso. L’agguato – secondo l’accusa – sarebbe stato organizzato per vendetta, dopo che Fratianni aveva tentato di uccidere Antonello Francavilla (fratello maggiore di Emiliano) e suo figlio minorenne a Nettuno il 2 marzo 2022.
La squadra mobile sventò l’agguato il 26 giugno 2022 al casello autostradale di Foggia, salvando Fratianni. Emiliano Francavilla fu arrestato poco dopo, il 22 luglio, insieme a cinque presunti complici. A complicare il quadro, il fatto che al momento dell’arresto il boss fosse libero da soli quattro mesi, dopo 11 anni di carcere per una serie di condanne in vari blitz antimafia (Blauer, Baccus, Corona, Rodolfo) per reati che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dal favoreggiamento alla detenzione di armi ed esplosivi.
Il 21 febbraio 2025, in aula, Emiliano Francavilla ha confessato di aver voluto uccidere Fratianni per vendicare il nipote colpito alla testa. Proprio questa ammissione, definita “rilevante” dagli stessi inquirenti, è stata presa in considerazione dalla corte d’appello come segno di collaborazione processuale e ha pesato nella concessione dei domiciliari.
Difesa: “Scelta coerente e vigilata”
I legali del boss difendono la scelta dei giudici, sottolineando i quasi tre anni di custodia cautelare già scontati, la confessione in aula, e il fatto che la detenzione avvenga in un’abitazione controllata, a pochi metri dalla caserma dei carabinieri e dalla sede della DIA. “Un contesto che – sostengono – permette un monitoraggio costante dell’imputato”.
Inoltre, la Dda di Roma ha chiesto di ascoltare Francavilla anche nel processo in corso a Velletri, dove Fratianni è accusato del duplice tentato omicidio ai danni di Antonello Francavilla e del figlio.
Una scarcerazione che fa discutere
La vicenda ha riacceso il dibattito sulla gestione dei detenuti di spicco in attesa di giudizio, in particolare se accusati di reati mafiosi. In passato, Emiliano Francavilla era considerato elemento centrale del clan, insieme al fratello Antonello, e la sua scarcerazione – peraltro nella città dove il clan mantiene radici solide – rischia di alimentare tensioni e polemiche.
La parola ora passa al Tribunale della Libertà: la decisione, attesa entro un mese, dovrà stabilire se confermare i domiciliari o disporre il ritorno in carcere. Ma comunque vada, sarà solo il primo atto di una battaglia legale destinata a proseguire fino in Cassazione.