La Corte costituzionale ha dato il via libera definitivo all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, stabilendo che la sua eliminazione non è contraria ai principi della Carta. Lo ha fatto dopo aver esaminato, in camera di consiglio, le questioni di legittimità costituzionale sollevate da 14 autorità giurisdizionali — tra cui la Corte di cassazione — che avevano contestato la legittimità della riforma penale voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Il nodo della Convenzione di Merida
La Consulta ha dichiarato ammissibili soltanto le questioni relative alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota anche come Convenzione di Merida, ma ha poi giudicato infondate le obiezioni. Secondo la nota ufficiale diffusa dalla stessa Corte, dalla Convenzione non si può dedurre né l’obbligo di istituire il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo se già esistente in un ordinamento nazionale.
La questione era stata sollevata tra gli altri dall’avvocato Manlio Morcella, che in uno dei ricorsi aveva sostenuto che l’abrogazione rappresentasse una violazione degli impegni internazionali assunti dall’Italia. Ma la Corte ha escluso che tali obblighi impongano la presenza di una norma penale come quella eliminata dal nuovo testo legislativo.
L’iter politico e la riforma Nordio
L’abrogazione del reato era stata approvata a luglio 2024 dalla Camera dei deputati con 170 voti favorevoli — maggioranza di governo più Azione e Italia Viva — e 77 contrari. La norma è contenuta nell’articolo 1 della riforma penale proposta da Nordio, uno dei punti più contestati del pacchetto giustizia dell’esecutivo.
Secondo il ministro, il reato di abuso d’ufficio aveva finito per diventare uno strumento paralizzante per la pubblica amministrazione, costringendo i funzionari a bloccare decisioni per paura di essere indagati. Ma l’opposizione non ha mai condiviso questa visione.
Le critiche: “Si favorisce la mafia”
Dura la reazione delle forze di minoranza, che hanno parlato di “vuoto legislativo”, “obbrobrio giuridico” e “colpo alla lotta alla corruzione”. Secondo le opposizioni, l’abolizione finisce per favorire i fenomeni mafiosi e corruttivi, proprio perché va a eliminare uno dei pochi strumenti giuridici con cui era possibile perseguire i comportamenti illeciti di amministratori e funzionari pubblici.
Nel merito dei ricorsi, tredici delle ordinanze provenivano da giudici di merito, una dalla Cassazione. Il pronunciamento della Consulta rappresenta quindi un punto fermo nella controversa vicenda legislativa e costituzionale dell’abuso d’ufficio.